Perché una stazione bike sharing non andrebbe posizionata sul marciapiede

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Interessanti riflessioni che ci giungono da Antonino Panzarella, architetto, circa l’attuale posizionamento di alcune stazioni del bike sharing in città a cura dell’Amat.


Occorre innanzi tutto conoscere i due protagonisti e cioè:

Il bikesharing cittadino

È un servizio di biciclette pubbliche e costituisce uno degli strumenti di mobilità sostenibile a disposizione delle amministrazioni pubbliche per integrare/completare il sistema di trasporto per raggiungere anche luoghi dove il mezzo pubblico non arriva o non può arrivare. Lo scopo è quello di far girare le biciclette tra le varie stazioni che sono posizionate in luoghi prescelti del sistema urbano (dal centro alla periferia), per far questo la prima mezz’ora generalmente è gratuita e successivamente viene applicata una tariffa oraria o frazionata.

Il marciapiede

Codice della strada: “Il marciapiede è una parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata alla sola circolazione dei pedoni”. Continua: sul marciapiede è vietato transitare con qualsiasi veicolo, anche senza motore (es. biciclette), in quanto riservato ai pedoni. E’ possibile che i veicoli siano in sosta qualora vi siano strisce di parcheggio: quindi non è sufficiente che i veicoli in sosta lascino lo spazio ai pedoni […].

N.B: teniamo a mente che cosa diversa dal marciapiede è un passaggio ciclopedonale (ci torneremo in seguito).

Dove si incontrano i nostri due protagonisti?

Si incontrano quando una città si accinge ad attivare il suo sistema bikesharing, perché la realizzazione del nuovo strumento di mobilità cerca spazio per posizionare le stazioni con le biciclette che costituiscono in tutto e per tutto parte integrante della infrastruttura.

Se, come assunto il bikesharing serve a favorire l’uso dei mezzi collettivi di trasporto il suo posizionamento è direttamente collegato alla diminuzione dell’uso dell’auto privata nelle zone interessate; molti sono i modi e le tecniche utilizzate per favorire questo processo; uno dei modi per allontanare l’auto privata è quello di diminuire i parcheggi sulla base del concetto che un parcheggio è di per se un attrattore del mezzo privato.

Le nostre città hanno da tempo e pagano tutt’ora (e per molto tempo lo faranno) il “miracolo italiano” di una nazione basata sull’emancipazione data dall’auto privata prostituendo lo spazio pubblico alla sosta e fermata più o meno regolamentata in ogni vicolo possibile. Il paesaggio urbano al quale siamo ormai tristemente abituati è accomunato dalla presenza imprescindibile e prepotente dei mezzi privati per strada. Questi mezzi affetti da macrosomia cronica dominano per diritto acquisito l’intera superficie ground interconnessa, il livello 0 della città. Da relativamente poco tempo anche in Italia è iniziato in maniera massiva un processo di riappropriazione delle strade come fulcro di quelle relazioni sociali che sono alla base della ragione stessa di una città.

Il problema torna: recuperare dello spazio per la nuova infrastruttura!

Se dunque il ruolo di un bikesharing è quello di collaborare attivamente a quanto sopra esposto  appare evidente, in una logica di equilibrio, quanto esso debba essere realizzato a “scapito” dell’occupazione di suolo del traffico motorizzato privato. Tornando alle stazioni di biciclette pubbliche la logica di istallazione non può e non deve dunque essere il “dove c’è spazio” e dove è più semplice erodere localizzazioni; ci avvicineremmo se così si agisse a un pericoloso, dove danno meno fastidio.

Si deve sempre considerare che chi va in bicicletta non è un (quasi) pedone anche se è pur vero che chi conduce a mano un velocipede (bicicletta) vi è assimilato ma crea indubbiamente un “conflitto” nell’area interessata per il solo fatto di dovere estrarre per la sua lunghezza la bicicletta e dover raggiungere la strada necessariamente dal marciapiede.

Allora dove e come posizionarle?

In assenza (come siamo purtroppo di un Piano), al di la delle considerazioni ingegneristiche sul posizionamento a grande scala, almeno potrebbe essere considerata/discussa la seguente Lista di controllo (domande da porsi mentre si sceglie il posizionamento):

Principio cardine

È posizionata in uno spazio finora dedicato alla mobilità motorizzata privata?

Principio infrastrutturale

È integrata alla presenza di una pista ciclabile o di uno spazio riservato alla mobilità dolce (es. passaggio ciclopedonale)?

Principio simbolico

È posta in una localizzazione che ne rivendichi il ruolo di “collante di mobilità” (es. attira l’attenzione dell’utente)?

Principio pratico d’uso

Come si relaziona con le altre modalità di trasporto: è sicura (es. quanti attraversamenti per raggiungere una fermata bus)?

Principio estetico e di preservazione del contesto urbano qualora sensibile o storico

È fuori da un “quadro” tipico rappresentativo, limita prospettive o scorci importanti (es. un turista che fotografa un monumento o spazio importante della città rischia di trovarsela davanti)?

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5 Thoughts to “Perché una stazione bike sharing non andrebbe posizionata sul marciapiede”

  1. peppe2994

    Ottime argomentazioni, complimenti all’autore.

    Ovviamente qui sembra le abbiano piazzate in dei punti scelti tirando a freccette sulla mappa di Palermo.

    No, a parte gli scherzi devo dire che quelle che ho visto finora non intralciano ne auto ne pedoni. Sono degli ottimi compromessi.

  2. John

    Articolo che cade a pennello! Ma avete visto dov’è stato posizionato il ciclopark di Via Volturno? Una piazza adiacente a disposizione (V.E Orlando) e i geni hanno pensato bene di installarlo proprio sul marciapiede dinanzi la torrefazione e a ridosso delle auto :O

  3. marcus

    Ottimo articolo. Spero che lo leggano anche molti ciclisti (lo sono anche io) che quando invece sono nella mia funzione di pedone sul marciapiede ti si fiondano addosso a velocità rivendicando improbabili corsie ciclabili sui marciapiedi (più esplicito: anche la pista ciclabile sul marciapiede su via libertà non esiste più perché in contrasto con il nuovo codice della strada)
    Sul posizionamento in città delle stazioni non mi sembra sia stato fatto un lavoro così malvagio, magari non rispetta esattamente tutti i principi espressi e magari è troppo concentrato sul centro, ma se la logica era quella di servire le periferie con i Tram ha un suo perché di sistema integrato, embrionale ma ce l’ha

  4. cirasadesigner

    Ottimo articolo, ben scritto ben argomentato, condivido al 100% il contenuto.
    In questo periodo qui a Bruxelles, si sta attuando una rivluzione epocale a livello di pedonalizzazione del centro. Un piano che ha incontrato tanti detrattori e che suscita quotidianamente delle polemiche.
    Punta a far diventare il centro storico di Bruxelles, la più vasta area pedonale in Europa.
    In pochi anni un asse principale , il Boulevard Auspach, che metteva in comunicazione due grandi stazioni Gare du Midi e Gare du Nord, e che per decenni, se non secoli, aveva costituito una autostrada urbana, è stato trasformato in una immensa area pedoonale.
    Il coraggio di certe amministrazioni comunali purtroppo si vedrà con il tempo, perche queste operazioni hanno bisogno di qualche anno per essere accettate e sopratutto fagocitate da la città, che rimane sempre un elemento in contunua evoluzione, urbana e socio-economica.
    Fatta questa premessa mi ricollego all’articolo,… se non si comincia veramente ad affrontare il problema alla base non riusciremo mai a realizzare degli interventi coerenti.
    Mettere gli stalli sui marciapiedi non aiuta lo sviluppo di queste infrastructure, anzi agli occhi della gente rimaranno come degli elementi alieni al contesto.
    Recuperare il senso dello spazio pubblico deve essere la nostra religione, quella che ci riporterà a riconquistare una città degna del tempo.
    Spesso qualcuno di noi pubblica delle meravigliose foto d’epoca e la cosa che risalta subito agli occhi è che prima della “rivoluzione motoria dell’auto privata”, le città erano più belle, apparivano più grandi e spaziose non soffocate da queuta presenza ingombrante e massiciia di scatole di acciaio che sono le nostre auto.
    Fino agli anni 60 utlizzare i mezzi pubblici era prassi, si è vero, le possibilità economiche per poter comprare un auto non erano le stesse, ma cosi come i nostri nonni e genitori si indebitavano con le famose cambiali per poter acquistqre uns 500 o una 850, lo stesso coraggio lo dovremmo avere noi nel gridare alla “controrivoluzione” dei trasporti.
    Palermo, come tutte le altre città italiane ha nécessita di questa controrivoluzione ancora di più visto lo scempio edilizio che negli anni 70/80 hanno trasformato la nostra città.
    Ai tempi di Ciancimino, gli indici di edificabilità di Palermo erano completamente fuori controllo con indici che sembravano più vicini a quelli di New York che di una citta di 3000 anni di storia come era già.
    In più tanti palazzi fatti senza rispettare alcuna regola a livello di quote di compensazione, centinaia di appartamenti sono nati senza prevedere nel contempo un solo posto auto, rarissimi sono gli esempi di quel periodo che prevedevano questi paramentri e non a caso, adesso, quei pochi palazzi che godons di parcheggi condominiali sono i più cari sul mercato immobiliare.
    Chiudo il mio intervento dicendo, ben vengano i cicloposteggi come quelli raffigurati in foto, ben vengano le nuove linee di tram che mettano in collegamento le periferie con il centro, ben venga la linea Mal, Sud /Nord che dovrebbe costituire l’asse principale del trasporto urbano insieme al passante…ma sopratutto bene venga il nostro cambiamento di visione.
    Pensate che quando saremo avi dei nostri nipoti , potremmo vantarci nel dire vi abbiamo lasciato qualcosa di buono e non rimproverare i nostri nonni e padri per quello che ci ritroviamo oggi, allaluce di un finto progresso.

    1. marcus

      clap clap
      Tante cose le ho ripetute anche io diverse volte, spesso con critiche feroci (qualcuno mi ha anche detto che sicuramente ero un consigliere comunale o un suo parente).
      Non si può lasciare tutta la responsabilità alle PA; anche i cittadini facciano la propria parte (cittadinanza consapevole) e come ho detto già una volta, avremo anche più diritto di lamentarci e di pretendere che a quel punto siano le PA a fare la propria parte

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