La tragica fine di Laura Lanza di Trabia, meglio nota come la Baronessa di Carini, ha affascinato nei secoli e continua ad affascinare milioni di persone. Su questa vicenda hanno scritto, qualche volta a vanvera, tanti storici , studiosi e non solo . Non c’era infatti nessun cantastorie che si rispettava che non aveva nel suo repertorio tale tragica vicenda. Anche la televisione si è ampiamente ispirata raccontando in due sceneggiati ( nel 1975 e nel 2007) la vicenda. Purtroppo , come capita spesso, la verità è un’altra. Prima di tutto, dobbiamo dire che i fatti narrati non sono frutto di fantasia. La vicenda e i personaggi sono veri anche se la storia è stata un po’ “abbellita”, anzi per la verità è stata stravolta. Chi scrisse per primo di tale vicenda fu uno studioso ottocentesco , l’antropologo Giuseppe Salamone Marino, che nel 1870 , pubblico un poemetto”L’amaro caso della signora di Carini” , raccogliendo le tante storie e leggende orali ( circa 400) sull’argomento . In tale poemetto si raccontava che la giovanissima baronessa di Carini , Laura Lanza di Trabia, era stata sorpresa, dal padre, don Cesare Lanza barone di Trabia e pretore di Palermo, e dal marito Vincenzo La Grua Talamanca barone di Carini, in compagnia del suo amante , Ludovico Vernagallo ,e viene uccisa ( insieme all’amante) per salvare la “rispettabilità della famiglia.”
Ma che cosa accade realmente il 4 dicembre 1563?
Che la storia ,narrata da Giuseppe Salamone Marino, faceva acqua da tutte le parti, lo ha messo in evidenza lo studioso Alberto Varvaro . La “giovanissima Baronessa”, al momento del fattaccio aveva 34 anni e da ben 16 anni “ intratteneva” una relazione stabile e “ufficiale” con il cugino del marito, Ludovico Vernagallo, da cui aveva avuto ben 8 figli. Che i figli fossero dell’amante sarebbe confermato dal fatto che il marito,Vincenzo La Grua sembra, fosse sterile e, dopo il fattaccio , disconosce i figli avuti, sulla carta, dalla moglie .
Il “vedovo inconsolabile” convolò a nuove nozze il 4 maggio 1565. con Ninfa Ruiz rinnovando alcune stanze del castello e cancellando le tracce che potevano ricordargli la prima moglie. Sulla porta della stanza della “vecchia”moglie fece incidere la seguente frase «Et nova sint omnia». E tutto sia nuovo.
L’unica cosa che non riuscì a cancellare fu l’impronta insanguinata che la baronessa, appoggiandosi al muro , lasciò con la mano. Secondo la leggenda, ogni anno , il 4 dicembre, tale impronta diventa ben visibile.
Perché allora fu uccisa la baronessa e il suo amante?
Secondo lo storico Calogero Pinnavaia. non di delitto d’onore si trattò ma di un assassinio per ragioni economiche sfociato nel sangue. Dovendo don Cesare Lanza del denaro al povero Vernagallo, don Cesare non trovò di meglio, per “estinguere” il debito, di ammazzare il suo creditore. E la figlia? L’eliminazione dell’adultera serviva a occultare la vera ragione del delitto. Come si vede si trattò di tutt’altro che una questione “ d’onore offeso”.
Ma chi uccise realmente la Baronessa?
Il marito della baronessa, don Vincenzo La Grua aveva interesse a ad eliminare il rivale perché, secondo la Lex Iulia, avrebbe avuto diritto a metà del patrimonio dell’amante. Quanto al padre, Cesare Lanza, uccidendo la figlia, per motivi d’onore, avrebbe potuto riavere indietro la dote .
Perciò la “versione ufficiale” era perfetta per gli scopi del padre “disonorato” e del marito”cornuto”.
La potenza delle famiglie coinvolte ( ricordiamo che Don Cesare Lanza era il prefetto di Palermo, cioè una specie di sindaco dell’epoca) mise subito a tacere i diaristi del tempo, che si limitarono a riportare solo la data e la notizia della morte, e i giudici che “ indagarono” , si fa per dire, sulla vicenda. La “verità ufficiale” si trova custodita nell’archivio della Chiesa madre di Carini in una lettera- confessione , scritta dallo stesso padre della vittima al re di Spagna Filippo II.
«Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la Baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.
Don Cesare Lanza
Nonostante le perplessità del Vicerè dell’epoca, Don Juan de la Cerda, Don Cesare Lanza di Trabia fu assolto in virtù della legge vigente e l’anno successivo ….insignito del titolo di conte di Mussomeli. Una brutta storia da cui, moralmente, non si salva nessuno. Né i protagonisti, né la giustizia insabbiatrice.
Dove fu seppellita la povera Baronessa di Carini?
Secondo la tradizione locale la baronessa sarebbe stata tumulata nella cripta dei La Grua sotto l’altare maggiore della Chiesa madre di Carini. Però tale ipotesi non convince. Secondo alcuni la Baronessa sarebbe seppellita a Palermo nella Chiesa di Santa Cita: nella cripta della famiglia Lanza. Infatti in tale cripta sono sepolti il padre ,Don Cesare Lanza, con la seconda moglie, Castellana Centees e il fratellastro Ottavio. Sotto il sepolcro del padre è posizionato un artistico sarcofago anonimo con lo stemma di famiglia e la statua giacente di una giovane donna che si ritiene possa essere quello della figlia Laura. Se ciò fosse confermato, appare strano che un padre uccide la figlia e poi la fa seppellire accanto alla sua tomba
Come spesso accade nella nostra “felicissima” città,forse la verità non la conosceremo mai.
«Chianci Palermu, chianci Siracusa
a Carini c’è lu luttu in ogni casa.
Attorno a lu Casteddu di Carini,
ci passa e spassa nu beddu cavaleri.
Lu Vernagallu di sangu gintili
ca di la giuvintù l’onuri teni.
“Amuri chi mi teni a tu’ cumanni,
unni mi porti, duci amuri, unni?
Vidu viniri ‘na cavallaria.
Chistu è me patri chi veni pi mmia,
tuttu vistutu alla cavallarizza.
Chistu è me patri chi mi veni a ‘mmazza.
Signuri patri, chi vinisti a fari?”
“Signora figghia, vi vegnu a ‘mmazzari”.
Lu primu corpu la donna cadiu,
l’appressu corpu la donna muriu.
Nu corpu a lu cori, nu corpu ‘ntra li rini,
povira Barunissa di Carini».