Parlare di alluvioni quando da mesi non piove e c’è il rischio di razionamento idrico, può essere considerato un esempio di eccessivo e inutile allarmismo.. Nella realtà non è così.
Storicamente si ricordano poche ma disastrose alluvioni : nel 1557, 1666, 1769, 1772, 1778, 1851, 1862, 1907, 1925 ed infine l’alluvione del 1931
Molte di queste grandi alluvioni sono avvenuti dopo periodi eccezionali di caldo o di siccità. Ciò è dovuto al fatto che dopo un periodo di grande caldo il terreno ,arso dal sole, diventa impermeabile all’acqua piovana . Inoltre i temporali, dopo tali periodi di siccità, sono violenti e improvvisi . Impropriamente si parla di “bombe d’acqua, perchè vengono scaricate in poche ore grandi quantità di pioggia che il terreno non riesce ad assorbire. Se a questo si aggiungono le responsabilità umane e la scarsa manutenzione e prevenzione … il danno è fatto.
Nella storia di Palermo le alluvioni, come abbiamo ricordato, sono state poche , anche se molto disastrose. La prima, di cui abbiamo testimonianze storiche , fu quella del 27 settembre 1557, in assoluto quella più disastrosa.
L’estate di quell’anno era stato molto calda e siccitosa, per tale motivo la gente sperava che piovesse. Non sappiamo se si organizzarono processioni o si invocarono le varie sante protettrici della città ( ancora erano 4), in tal caso dobbiamo pensare che si esagerò con le invocazioni e le processioni.Tra il 21 e il 22 settembre 1557 finalmente inizio a piovere. Purtroppo la tanto invocata pioggia continuò , senza alcuna pausa ,sino al 27 quando le precipitazioni s’ intensificano rovesciando sulla città «acqua senza fine et cum vehemenzia extrahordinaria». Al tramonto del 27 le precipitazioni assumono le caratteristiche di un nubifragio e il “ muro-diga” , costruito nel 1554 ( cioè tre anni prima), all’ altezza del ponte di Corleone per intercettare le acque che scendevano da Monreale per dirottarle nel fiume Oreto ,cedette.
L’ onda di piena con il suo carico di fango e detriti si riversò verso la città «con multa furia» e intorno alle 20 colpì con estrema violenza le mura cittadine all’ altezza della chiesa dell’ Itra. Nonostante tali mura fossero spesse un metro e ottanta, non resistettero alla violenza dell’acqua e cedettero ,provocando una breccia lunga quarantaquattro metri e alta quattro (ampia cioè circa 176 metri quadrati) . L’acqua in piena entrò in città e si riapproprio dell’antico corso del Kemonia ( che era stato incanalato sotto la città) continuando il suo percorso sino a Ballarò e allagando la piazza della chiesa del Carmelo. L’acqua in piena proseguì per via dei Calderari danneggiando il monastero della Martorana e quello della Moschitta oltre a far crollare molte case. Incanalandosi per la via dei Lattarini l’ acqua si divise in più braccia: Una parte allago la Vucciria vecchia, mentre un’ altra distrugge i magazzini di frumento vicino la chiesa di Nostra Signora della Misericordia e i depositi di legname. Le travi trasportate dalla furia della piena martellarono come degli arieti le case e le botteghe della Loggia dei Catalani ( l’attuale Vucciria) ,il cuore pulsante del commercio e della finanza palermitana, distruggendo quasi tutto .L’ onda di piena s’ incanalo, quindi, nella strada della Merceria per dirigersi verso la Cala dove, abbattendo le mura vicino alla Dogana vecchia, esaurì la sua corsa devastatrice gettandosi in mare. La massa d’ acqua che si era riversata nelle strade della città fu imponente dato che raggiunse ,nelle strade coinvolte, un livello fino a tre metri.
Le prime luci dell’ alba del 28 settembre illumino una città devastata e invasa dal fango e dai detriti. I cadaveri giacevano nelle strade, nelle chiese, sotto le macerie e nel mare, dove galleggiano accanto alle carogne degli animali sorpresi nelle stalle.Un testimone del tempo così descrisse la catastrofe : «horribile la obscurità della notte, li terremoti delle case che cascavano, li stridi de li homini, li ululati delle donne et lo spavento della morte con la continua pioggia».
Dopo il disastro si cominciò a fare un primo bilancio dei danni .Il maestro Razionale del Regno scrisse che le vittime erano stati almeno duemila, mentre gli animali da soma morti superavano le 200 unità. La stima dei danni fu di circa duecentomila scudi computando anche un migliaio di case completamente distrutte, oltre tremila salme di frumento irrecuperabili, merci, tessuti, arredi di numerose case scomparsi nel fango.
Il Pretore e i giurati palermitani organizzarono i soccorsi ripulendo le strade, puntellando le case pericolanti e, soprattutto, facendo seppellire i morti. Un vero e proprio flagello di Dio che il cardinale di Palermo esorcizzò, tanto per cambiare, imponendo tre giorni di penitenza, confessioni, digiuni e partecipazione a processioni.
Una tempesta perfetta provocata da un evento meteorico eccezionale che s’ innestò sui guasti provocati dall’ azione degli speculatori edilizi e ( tanto per cambiare) sulle difficoltà da parte dell’ amministrazione comunale a mettere in sicurezza il territorio.
Dopo il disastro si cominciarono a cercare i responsabili .La versione ufficiale attribuì tale responsabilità a un gabelliere che aveva ostruito con delle fascine la condotta del maltempo per impedire che i contrabbandieri la utilizzassero . Ma le responsabilità ,e i responsabili, erano altre.
Una relazione di Don Pietro Agostino, Maestro razionale del Regno, inviata al vicerè Juan de la Cerda duca di Medinaceli il 7 ottobre 1557, permette non solo di ricostruire l’ evento, ma anche di comprendere le reali cause e le responsabilità. Nel 1505 gli abitanti della città ammontavano a 25 mila mentre al momento del disastro la popolazione era triplicata.La città perciò era cresciuta, in pochi anni, notevolmente. Bisognava trovare nuove aree per costruire nuove case. Palermo era ancora una città medievale, ristretta dalle mura difensive, con strade strette e tortuose, e aspirava a diventare una città rinascimentale al pari delle altre realtà urbane italiane ed europee. Bisogna perciò recuperare aree destinate all’ edilizia abitativa, e ciò poteva avvenire solo se si utilizzavano anche quelle aree sottoposte a rischio idrogeologico come quelle che insistevano nell’ area del fiume Kemonia, tradizionalmente sottoposte a inondazioni in caso di maltempo. Per tale motivo , bisogna favorire la lottizzazione e la speculazione edilizia poiché la città aveva fame di spazi edilizi. E qui si inseriscono gli speculatori.
Era necessario deviare e canalizzare i fiumi cittadini per creare aree edificabili. Con i soldi pubblici vengono intercettate le acque meteoriche che da Monreale s’ incanalavano nella depressione che porta alla Fossa della Garofala (viale delle Scienze). Il Senato di Palermo, conscio del pericolo, aveva costruito nel 1554 ( cioè appena 3 anni prima) un muro-diga a due miglia dalla città all’ altezza del ponte di Corleone per intercettare tali acque per deviarle nel fiume Oreto.
Perciò , da una parte gli speculatori che si accaparrano i terreni alluvionali , per pochi soldi, dall’altra parte il Senato che le rende edificabili, una specie di Sacco di Palermo ante litteram.
Per esempio , un certo La Valli, che si era arricchito esercitando la professione dell’ aromataro e …..del prestito a usura, compra per pochi soldi dei terreni in un area soggetta al rischio d’inondazione ,cioè in Via Castro, poi costruisce ben 500 abitazioni., tutto questo con la complicità degli amministratori cittadini che rendono edificabili tali terreni. L’eccezionale evento meteorico mette allo scoperto tale speculazione.
Tale relazione di Don Pietro Agostino, Maestro razionale del Regno, è stata trovata ……dopo secoli, “ben conservata” negli archivi .
Alla fine la colpa di tale disastrosa alluvione fu del….. gabelliere che aveva ostruito con delle fascine la condotta del maltempo per impedire che i contrabbandieri la utilizzassero.
P.S. Queste cose accaddero nel lontano 1557, ben 460 anni fa. Oggi certamente non potrebbero accadere …… o no.
A Palermo dopo il nubifragio i commercianti dei Lattarini fanno la conta dei danni .E’ bastato un nubifragio nella notte a Palermo, e se a ciò si unisce la cattiva manutenzione delle caditoie e delle strade, già alle prime ore di questa mattina, alcuni commercianti di via Roma, Lattarini e piazza Sant’Anna hanno dovuto fare la conta dei danni tra negozi allagati e merce danneggiata. Sembrava quasi una scena surreale vedere i negozianti coinvolti sistemare la merce per strada per farla asciugare o, ancor peggio, accatastarla per essere buttata. In piazza Sant’Anna l’acqua è arrivata a 55 cm. Tra rabbia e disperazione, ci si augura che alle prossime piogge non si ripetano tali episodi dovuti all’incuria delle fognature.
http://www.giornalecittadinopress.it/category/palermo-metropolis/ 11/09/2017
P.S. Non ci vogliono doti divinatorie per sapere che alle prime pioggie Palermo si allaga. Per evitare ciò bisognava svolgere una normale pulizia e manutenzione delle caditoie e delle strade.
“Una normale pulizia e manutenzione”? … Ma dove? In una città ancora sommersa dalla spazzatura e le cui strade non vengono quasi spazzate?