Caro Leoluca Orlando, parliamo di Rigenerazione Urbana dello ZEN

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Spettabile Redazione, Vi scrivo per chiedervi la possibilità di pubblicare questa mia lettera inviata giorni fa al Sindaco Orlando in relazione alla puntata di Uno Mattina dedicata allo ZEN di Palermo … lettera alla quale, purtroppo, non ho avuto risposta.

Come potrete leggere, ci sono delle concrete possibilità di fare molto di più che non presentarsi in TV, in programmi preconfezionati miranti all’offesa di una città piuttosto che alla risoluzione dei suoi problemi, ed è davvero assurdo che non si provi nemmeno a capire cosa poter fare. Sinceramente sono davvero disgustato dal disinteresse politico, accademico e giornalistico sulla situazione dello ZEN e di tutte le periferie italiane figlie dell’ideologia modernista.
Mi auguro che da parte del sindaco Orlando, apparentemente attento a certe problematiche, ci sia stato solo un problema di eccesso di impegni ad impedirgli la cortesia di una risposta “privata” nei miei confronti, ragion per cui ho deciso di prendere questa via “pubblica” che lo porti ad esprimersi sulla proposta.
Riporto di seguito il testo inviato ad Leoluca Orlando 

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Gentilissimo Signor Sindaco,

Le scrivo su segnalazione dell’amica comune, l’imprenditrice dello ZEN Maruzza Battaglia, e lo faccio a seguito della trasmissione Uno Mattina dedicata allo ZEN di qualche giorno fa.
Sono un architetto di Roma ed insegno presso il Rome Program della Facoltà di Architettura l’Università americana di Notre Dame.
Non Le nascondo di esser rimasto molto deluso da come sia stata gestita e raccontata la situazione dello ZEN da parte dei partecipanti, ad eccezione del suo intervento. Personalmente ho visto molta strumentalizzazione da parte della RAI, cosa che mi è stata confermata da Maruzza che ha visto cassato tutto il suo intervento che metteva la situazione molto più sul positivo/propositivo.
Mi hanno particolarmente irritato le parole del presentatore Di Mare, il quale ha definito il progetto di Gregotti “condividibilissimo”, nonché il patetico intervento di Tony Sperandeo infarcito di inqualificabili luoghi comuni tesi ad offendere gli abitanti dello ZEN piuttosto che a risolvere le problematiche esistenti. Certe parole mirano ad alimentare l’idea, comoda alla società dello spettacolo, che di Palermo e lo ZEN siano solo lo stereotipo di sempre.
Non è così!
Personalmente ho avuto modo di conoscere tantissima gente rispettabilissima di Palermo e dello ZEN, e sono stato direttamente coinvolto in una vicenda che l’Italia intera dovrebbe conoscere, perché non v’è precedente alcuno, a livello sociale, che possa competervi. Due anni fa, dopo aver elaborato un progetto di Rigenerazione Urbana per il Corviale di Roma, sono stato contattato da un gruppo di palermitani i quali, stufi della latitanza dello Stato e del disinteresse accademico nei confronti del peggior esempio di sperimentazione urbanistica che l’Italia possa vantare (lo ZEN di Gregotti), decisero di autotassarsi per offrirmi un rimborso spese simbolico e poter dimostrare, ai politici palermitani ed ai docenti delle facoltà di architettura italiane (gli unici a difendere ancora questa vergogna di Gregotti), che un’alternativa sostenibile è possibile.
Accettai quell’incarico, e in 90 giorni provvidi ad elaborare un progetto approfonditissimo, un progetto che non solo mostra le fasi di trasformazione nel rispetto dei residenti e dell’ambiente circostante, ma si spinge a spiegare come possano generarsi migliaia di posti di lavoro e migliorare l’ambiente, fruttando parecchio per le casse statali, piuttosto che configurarsi come l’ennesimo spreco di denaro pubblico.
Tengo a sottolineare che non voglio presentarmi come il demiurgo con una pozione magica da me inventata, ma come un architetto che ha semplicemente messo a frutto i suoi studi relativi alle norme e strumenti in vigore in Italia prima del fascismo, norme e strumenti che consentirono di costruire la Roma del primo Novecento, l’ultima grande immagine urbanistico-architettonica degna di menzioni nei libri di architettura. A questi studi ho dedicato il mio penultimo libro “La Città Sostenibile è Possibile” edito da Gangemi nel 2010.
Purtroppo, causa di una persona che evidentemente per interessi personali s’era fatta promotrice dell’iniziativa “Noi per lo ZEN”, il progetto s’è arenato, io non ho mai ricevuto il rimborso simbolico che mi era stato promesso e, per correttezza nei miei confronti, gli altri responsabili dell’iniziativa non se la sono sentita di farmi fare a Palermo la presentazione ufficiale del progetto finché la loro promessa non fosse stata mantenuta … questo nonostante io abbia lasciato intendere apertamente che il denaro sia insignificante rispetto al guadagno morale.
Intanto la notizia è volata dall’altro capo del mondo, e il prossimo giugno sono stato invitato a presentare il progetto in occasione del 50° Convegno dell’International Making Cities Livable a Portland nell’Oregon.
Sinceramente, come ho detto, il rimborso spese a me interessa poco rispetto al “guadagno morale” ed al messaggio sociale derivante da questa iniziativa nella quale ho creduto fino in fondo; per questo sarei disposto anche a donare a Lei e a Palermo questa proposta per lo ZEN, affinché possa diventare un progetto pilota per la rigenerazione di tutte le periferie italiane, figlie della folle ideologia che ha caratterizzato l’urbanistica e l’architettura degli ultimi 40 anni del secolo scorso.
Nel frattempo ho scritto un libro su questo progetto, un libro che spero di poter pubblicare quanto prima, se riuscirò a trovare qualcuno interessato a promuovere le cose belle di Palermo piuttosto che i soliti stereotipi.
Se volesse saperne di più sul progetto, Le segnalo un link dove troverà la relazione, corredata da parecchie immagini, che andrò a presentare negli Stati Uniti a giugno; sebbene il testo sia in inglese dovrebbe potersi tradurre in automatico usando il traduttore Google.
http://www.livablecities.org/node/492
Augurandole il meglio per il suo difficile compito di Sindaco le porgo i miei più cordiali saluti

Ettore Maria Mazzola
Professor of Traditional Urbanism, Architecture and Building Techniques
The University of Notre Dame School of Architecture
Rome Studies
Via Monterone, 76
00186 – Roma

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40 Thoughts to “Caro Leoluca Orlando, parliamo di Rigenerazione Urbana dello ZEN”

  1. ettore maria mazzola

    grazie per aver pubblicato questa mia lettera
    Ettore Maria Mazzola

  2. Fulippo1

    Progetti del genere sarebbero aria pura per i polmoni della nostra città e per noi tutti, sia per il miglioramento della vivibilità di tutti noi cittadini, sia che per l’estetica della città stessa, che come viene espresso nell’articolo, nell’ultimo secolo è stata completamente abbandonata a favore del brutto ma fruttuoso.

    Ritengo però che nella attuale situazione socio-politica, il solo pensare ad uno o piu progetti del genere, non faccia altro che alimentare la rabbia e la rassegnazione, per la consapevolezza che essi non potranno mai vedere la luce.

  3. cirasadesigner

    Ho appena letto l’interessante articolo che mi sono permesso di mettere come link con traduzione.
    Comincio con il dire che il lavoro svolto dall’Arch. Ettore Maria Mazzola, è davvero molto interessante e approfondito, sono rimasto colpito dalla cura in ambito urbanistico.
    Essendo io stesso di formazione urbanistica, non potevo non soffermarmi su questi aspetti che denotano una scelta progettuale molto interessante.
    La tempistica dei lavori, attraverso le 16 fasi che generano e rigenerano nello stesso tempo il quartiere, credo siano il fondamento del progetto.
    L’attenzione verso la storia dei luoghi, l’interazione tra i percorsi esistenti, e la voglia di ricreare quella situazione urbanistica più vicina alle caratteristiche urbane di una città storica del sud italia, danno all’idea quella forza necessaria.
    Molto importante la scelta di creare una città autosufficiente, che possa vivere anche sola, senza doversi spostare, trovo l’idea interessante e nello stesso tempo sostenibile.
    Geniale la scelta progettuale dei livelli di traffico. Nella mia carriera universitaria, ho vissuto per 6 mesi all’università di Louvain La Neuve in Belgio, città, creata intorno ad un polo universitario agli inizi del 1970.
    Ebbene, il progetto dello ZEN dell’Architetto Mazzola, ricorda molto da vicino questo esempio della UCL.
    Una strada principale legata al commercio, gli spazi dei cortili, i percorsi pedonali che non incontrano quelli veicolari, le circonvallazioni esterne, i mezzi pubblici, insomma, una sorta di città ideale alla luce delle nefaste esperienze progettuali degli anni 60/70.
    Credo davvero che la generazione di architetti che ha creato questo genere di mostri urbanistici, dovrebbe fare davvero un “mea culpa”… Invece di erigersi a geni incompresi. Credo che lo scempio di Gregotti allo ZEN sia una palese dimostrazione del fallimento di questa idea.
    Il Corviale a Roma, il Pilastro a Bologna, il quartiere Scampia a Napoli, e il Giambellino di Milano i quartieri operai di Torino e quelli periferici di Genova, rafforzano l’idea.
    Per nostra fortuna le cose sono cambiate anche a livello accademico, si guarda a nuovi modelli e a fare del concetto della sostenibilità, il fulcro del processo progettuale.
    Per contro, essendo anche architetto, come del resto l’autore dell’articolo, credo allo stesso modo che non si debba incorrere nell’errore di citare il passato per le architetture.
    Di centri commerciali o out-let finti, ne abbaino già tanti, io mi immagino che uno ZEN moderno, attraverso le sue architetture nuove e bio-sostenibili, possa avere un futuro migliore di una copia e per questo finta città post barocca.
    Per questo, mi permetto di dissentire da questo punto di vista, per il resto credo che il contributo dato dall’Arch. Mazzola sia davvero di altissimo livello, vorrei maggiori informazioni sulla presentazione del progetto in Oregon, e se potessimo metterci in contatto personalmente le sarei grato, sono sempre interzato alla crescita intellettuale e solo con il confronto si può’ ottenere.
    GRAZIE

  4. ettore maria mazzola

    gent.mo Cirasadesigner,

    ti ringrazio (preferisco dare del “tu” tra colleghi) per il tuo commento e sono ben felice di sapere che condivida il piano.
    Ho solo un appunto sul discorso linguistico, che tu definisci “falso” o da “outlet”. Mi dispiace ma non è così, il progetto propone, per coerenza col piano e per ragioni socio-economiche che ho spiegato meglio nel libro di prossima pubblicazione, (ma già nel mio libro “La Città Sostenibile è Possibile), come il recupero di tecniche e materiali tradizionali, nonché la riformazione dell’artiganato edilizio, possano risultare un grande passo avanti verso un mondo più sostenibile nel reale senso del termine … e non solo in quello abusato da chi propone edilizia industriale a basso consumo energetico (solo in fase di esercizio).
    Recuperare l’artigianato e costruire secondo i criteri e le strategie di cantiere ed economiche che consentirono la realizzazione di interi quartieri fino all’avvento del fascismo non è un’utopia, ed all’estero già avviene e genera benessere ambientale ed economico.
    La mia proposta nasce da un processo partecipativo, e se si è addivenuti a certe conclusioni è anche per quelle che sono state le discussioni lungo il percorso.
    Purtroppo, la generazione che ha realizzato lo ZEN è anche quella che, per ignoranza e per ideologia, ha praticato quel lavaggio del cervello che oggi porta molti di noi a pensare realmente che costruire in armonia col carattere locale corrisponda a voler falsificare la storia … un problema davvero falso!
    E’ stata proprio la generazione di Gregotti quella che arrivò a teorizzare che i centri storici fossero l’incarnazione della “malvagità borghese”, e come tali dovessero essere abbandonati perché non consoni alla emergente classe operaia … questo fu uno dei cavalli di battaglia della visione politica che portò a concepire lo ZEN «il cui ultimo fine era di materializzare l’idea che la città storica, espressione delle classi sociali che avevano dominato e oppresso la società umana, doveva essere abbandonata ai suoi fondatori, mentre alle classi sociali popolari in ascensione sarebbero stati destinati i nuovi quartieri costruiti in periferia che, aggregandosi, avrebbero finito col generare la Nuova Gerusalemme: la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna». Ovviamente Gregotti, alla domanda di Enrico Lucci durante il programma “Le Iene” se ci avrebbe vissuto allo ZEN, rispose: “non ce ne sono le condizioni, io non faccio il proletario, sono un architetto!” … bella coerenza!
    Riformare l’artigianato nelle tecniche tradizionali (tra l’altro esistono fondi europei appositi) serve anche a garantire il mantenimento del nostro patrimonio danneggiato da chi, conoscendo solo la “legge del cemento armato” e il “linguaggio modernista”, non è più in grado di restaurare in maniera corretta i nostri monumenti.
    Ribadisco, lavorando più con gli stranieri che con gli italiani posso affermare con certezza che siamo rimasti l’ultimo “Paese Civile” a non esserci accorti dei cambiamenti culturali in atto.
    Per avere più informazioni su Portland e altro può contattarmi quando vuole al mio indirizzo [email protected], oppure contattarmi su Facebook.
    Cordiali saluti e grazie ancora
    Ettore Maria Mazzola

  5. pablo87

    Intanto se vogliamo veramente che questa zona non venga nominata come una delle zone più disastrate di Palermo dobbiamo non più chiamarla Zen tanto per cominciare,visto che quando le persone che non sono di Palermo è sentono dire la parola Zen dalla faccia che fanno si legge tutto. Intanto cominciamo a dare il nome giusto della zona che non è più zen da molto tempo ma si chiama SAN FILIPPO NERI se vogliamo un’attimino cercarla di riqualificare non chiamiamola più zen ma S. Filippo Neri,ci sono pure i cartelli giganti che dicono che si chiama cosi già da un pò. Per quanto riguarda il degrado è la situazione che si vive in questa zona è d’avvero vergognosa,bisognerebbe intanto ristrutturare i Padiglioni nella parte interna quella diciamo vecchia li la situazione è d’avvero grave le palazzine hanno bisogno di essere ristrutturate sono tutte danneggiate è ogni giorno che passi è sempre più peggio,poi bisognerebbe riqualificare l’area circostanze con giardini,scuole che necessitano di sicurezza e ristrutturazione ecc ecc.. togliendo tutta l’immondizia è il degrado che ormai da troppo anni ha preso il sopravvento purtroppo della zona interna di S. Filippo Neri. Spero che il comune prenda dei provvedimenti prima possibile per far si che questa zona finalmente venga tolta da tutto questo degrado che la circonda.

  6. huge

    Bellissimo progetto.
    Un’amministrazione realmente attenta ai problemi della città e al suo sviluppo futuro non potrebbe che fare tesoro di una simile proposta, tanto più che il progetto è a bilancio economico in pari, se non positivo, come riportato a fine descrizione.
    Ma anche se il bilancio economico fosse negativo, il bilancio sociale e ambientale sarebbe tale da giustificare qualsiasi spesa.
    Speriamo qualcuno se ne renda conto.

  7. ettore maria mazzola

    caro Pablo87,
    il progetto parla del San Filippo Neri, ma la trasmissione di Rai1 parlava ancora di ZEN e così ho dovuto esprimermi. Detto ciò, penso che non è cambiando il nome che si risolvono le cose, queste sono scelte demagogiche di certe persone che continuano a prendere in giro la gente del San Filippo Neri. E’ come quando cambiano il nome di un partito politico senza modificare i programmi e mandare via a calci i politici corrotti. Come giustissimamente dici tu, occorre restaurare (dopo così pochi anni!) gli edifici … ma questo costa moltissimo e si tratta di denaro pubblico, ovvero le nostre tasse! Vale la pena? Oppure è meglio pensare come nel mio progetto a qualcosa di più radicale che porta soldi nelle casse statali piuttosto che spese? … Questa è una delle ragioni per le quali occorrerebbe tornare a costruire in modo che vengano azzerati i costi di manutenzione, e questo commento risponde anche al dubbio si Cirasadesigner: Un progettista di case popolari, Quadrio Pirani, nel 1911 disse nella relazione che accompagnava i suoi progetti per il Testaccio di Roma: «non solo la casa bella all’esterno e pulita all’interno contribuisce all’elevazione delle classi che la abitano, ma che un giusto impiego di materiali durevoli, quali i laterizi e le maioliche, porta ad una diminuzione nel tempo delle spese di manutenzione degli edifici, soprattutto quando si tratti di edifici a più piani riuniti in un isolato o in un quartiere urbano» Ora possiamo affermare che aveva ragione, perché quegli edifici non hanno mai richiesto restauri ed oggi vengono equiparati dal mercato immobiliare agli edifici del centro storico di Roma!

  8. ettore maria mazzola

    grazie Huge, speriamo che lo capiscano anche in Municipio!

  9. Ci farei stare per un mese il sig. Gregotti. Giusto per fargli notare un pochino di cose…

  10. guarino1

    Gentile Prof. Mazzola,
    dopo aver letto l’articolo e quello del link, premesso che una completa demolizione del quartiere e una smossa nei confronti dello Stato sarebbe necessaria, e posto che le 16 fasi non si scontrino con la burocrazia nostrana, mi sorgono alcuni dubbi:
    1) Sembra, a mio modestissimo parere, che il progetto non sia collegato alla realtà del restante tessuto urbano: il cardo principale dovrebbe collegarsi con l’attuale via trapani pescia al quartiere di pallavicino, via pescia la quale è larga quanto basta a far passare appena un’automobile! La confluenza verso Pallavicino andrebbe poi a creare un tappo in una zona già altamente critica!
    2)La cerchia di verde che ricalca l’attuale strada provinciale non rischia di mantenere il quartiere un vero e proprio ghetto? Non sarebbe meglio una pianificazione dell’intera area Nord comunale della città, comprendendo o considerando i quartieri limitrofi allo ZEN (Sferracavallo, Tommaso Natale, Pallavicino, Partanna-Mondello, Patti-Villaggio Ruffini, Cardillo, Cruillas, ecc)? Perché il quartiere dovrebbe essere autosufficiente come una cittadina a parte? Perché non collegarlo al restante tessuto?
    3)In che modo si potrebbe creare un pareggio di spesa in quest’opera faraonica per la P.A.?
    4)Il fatto che il Suo progetto comprenda un viale di negozi sembra scontrarsi con la realtà attuale: il Centro commerciale Conca d’Oro proprio accanto al quartiere, oltre alla possibilità di poter veder sorgere il nuovo stadio sulle macerie del Velodromo, con tutti i servizi annessi di un moderno complesso.
    5)è lodevole quello che lei dice quando parla di solidarietà fra vicini di quartiere, ma purtroppo la informo che questa “solidarietà” esiste già e si chiama MAFIA: in un quartiere abbandonato dallo stato dove non vi sono allacci idrico-elettrici è accaduto che dei benpensanti abbiano fornito gli abitanti, sostituendosi ai doveri dello stato (riflettendoci, sono davvero da biasimare?), con degli allacci abusivi!
    6)il quartiere come potrebbe essere collegato al resto della città seguendo la falsariga delle opere pubbliche attualmente in progetto (tram, metropolitana)?
    7) Se ben ricorda dal servizio delle Iene di cui parla si fa sempre riferimento a quanto siano strette le strade del quartiere e a come non si veda niente: nel Suo progetto lei afferma che le strade dovrebbero essere larghe al minimo 10,53 metri e a una sola corsia: non è un po’ poco? inoltre non mi sembra di vedere tracce di percorsi ciclabili paralleli alle strade.
    8)Se ho ben capito, nel suo progetto è sottinteso che andrebbero effettuati degli espropri (non andrebbero abbattute solo le palazzine dello Zen) limitrofe al quartiere per creare la già citata cerchia di verde: è così?
    9)Quale dovrebbe essere il disegno delle nuove palazzine, ad evitandum di ripetere quegli orribili scatoloni?

    Tengo presente che le mie non sono critiche ma perplessità, e che un lavoro ben fatto può sempre essere fatto meglio!

  11. guarino1

    P.S.: potrebbe precisare in che giorno è stata mandata in onda la puntata dov’era presente il sindaco Orlando?
    Grazie mille!

  12. ettore maria mazzola

    gentile Guarino,
    i suoi legittimi dubbi non possono essere chiariti in una breve replica, infatti, a completamento del progetto c’è un libro di 125 pagine che spiega tutte le sue perplessità … spero che venga stampato al più presto. Inoltre ho da due anni pronta una PowerPoint di circa 200 slides che spiega molto bene i collegamenti con le frazioni circostanti. Il discorso sull’anello verde è necessario per almeno due ragioni, che nulla hanno a che vedere con l’idea di “ghetto” attuale. Non essendo praticabile, né logica l’idea di demolire la circonvallazione attuale, è cosa buona e giusta, ma anche necessaria per rispondere alla normativa attuale, mantenere una fascia di rispetto. Avendo a questo punto inserito due grandi centri sportivi il parco attrezzato per fare jogging e il tempo libero di anziani e bambini consentirebbe di dotare la zona di un qualcosa che non esiste e che mi è stato richiesto in fase partecipativa. Quanto al discorso sul centro commerciale, che all’epoca del progetto non esisteva ma se ne parlava, non può essere una limitazione, semmai sarebbe stato utile non realizzare quello visto che certi megastore ammazzano il commercio lungo le strade, togliendo loro sicurezza (ne parlava già Jane Jacobs in ” The Death and Life of Great American Cities” … noi italiani arriviamo sempre tardi sui problemi già chiari da decenni. Anche sugli aspetti economici occorre molto spazio per spiegare tutta l’organizzazione, spero quanto prima di poter venire a Palermo per spiegare la cosa nel dettaglio. In ogni modo si tratta di recuperare il sistema già in uso prima del 1925, quando l’ICP costruiva in proprio e per conto terzi, e vendeva gli appartamenti eccedenti e le altre unità immobiliari commerciali azzerando i costi e guadagnando. Nel mio libro “La Città Sostenibile è Possibile” sono spiegati per filo e per segno le norme e i criteri che vedevano l’ICP, l’Unione Edilizia Nazionale e il Comitato Edilizio Centrale avere un ruolo attivo nel processo edilizio piuttosto che limitarsi a gestire le realizzazioni di terzi privati a spese pubbliche. Quanto al disegno degli edifici, se ha avuto modo di vedere la relazione pubblicata sul sito dell’IMCL avrà avuto modo di constatare che si intende dialogare con il carattere del centro di Palermo, al fine di stimolare il senso di appartenenza dei residenti ed al fine di riformare l’artigianato edilizio creando posti di lavoro, ergo gli scatoloni li lascerei a Gregotti e ai suoi emuli dai quali rifuggo. Infine, quanto alla puntata di Uno Mattina, è andata in onda il 15 scorso e questo è il link per guardarla: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3e4c16b8-1963-4011-aaad-56ac2ffda892.html

  13. guarino1

    Le faccio i migliori auguri per il possibile scontro con la burocrazia italiana…
    Piste ciclabili, espropri, collegamento pubblico, larghezza delle strade?
    In bocca al lupo per tutto!

  14. se68

    ettore maria mazzuola,
    L’architettura contemporanea ha il dovere di esprimere e sperimentare linguaggi diversi da quelli passati, anche con l’utilizzo di materiali autoctoni o tecniche costruttive tradizionali.
    Condivido sul fatto che l’esperienza dello ZEN è a dir poco infelice..ma ciò è stato dovuto, in buona parte, al mancato prolungamento di via Libertà, previsto all’epoca del progetto; alla mancata realizzazione delle infrastrutture, in particolare le aree verdi a servizio; alla chiusura abusiva dei piani terra con l’inglobamento dei pilotis previsti in progetto…etc, etc. Dunque responsabilità del progettista ma anche dell’amministrazione comunale.
    Ripeto, non è corretto, a mio avviso, proporre linguaggi simili.
    Tanto più in zone di espansione della città. In città normali avvengono interessanti inserimenti di opere moderne anche nei tessuti storici. E’ successo in passato anche a Palermo nel centro storico o in zone limitrofe.(BBPR, Scarpa, Carpinteri ed altri fino ai recenti, gradevoli, interventi alla Cala o Rinascente in via Roma)
    Ripeto, l’uomo contemporaneo deve avere semplicemente il coraggio di esprimere un proprio linguaggio, a tutti i livelli artistici. Francamente… il linguaggio architettonico adoperato da te è, a mio avviso, surreale e scusami, ricorda in maniera inquietante l’outlet di Enna, con la nostalgia dei bei tempi che furono…

  15. se68

    …scusate gli errori nel posizionamento dei periodi…

  16. ettore maria mazzola

    se68, credo invece che faresti bene ad aggiornarti su ciò che al di fuori dell’Italia accade ormai da oltre 25 anni e ancor prima se aggiungiamo Port Grimaud. Solo qui ci si ostina a fare cose astruse in nome di una presunta modernità. All’estero ci sono piani come Plessi Robinson e Val d’Europe, solo per citarne un paio vicinissimi all’Italia che ci raccontano di quanto meschini possano essere gli architetti che, per incapacità di confronto con l’esistente, preferiscono ignorarlo o accusare chi se ne freghi dell’autocelebrazionismo e voglia continuare nella tradizione. Gli esempi che menzioni come ben inseriti dal mio punto di vista sono degli scempi, ma si sa, tra architetti l’ideologia è imperante … del resto credi perfino all’autodifesa di Gregotti. L’ideologia ha distrutto questa professione, e la gente è stufa degli architetti e dell’architettura, specie qui in Italia … e la gente ha ragione da vendere! Alla gente comune che non è passata per il lavaggio del cervello delle facoltà di architettura non interessa proprio nulla di certe argomentazioni fuori luogo come la patetica e priva d’argomentazioni offesa del paragone con l’outlet di Enna … Mi chiedo se hai almeno letto il testo e le spiegazioni dei commenti precedenti, o se ti sei limitato a parlare in base al tipico pregiudizio. Magari sarebbe utile leggere anche ciò che gli altri pensano. Oggi ho ricevuto centinaia di messaggi tra i fari gruppi Facebook e la posta elettronica, oltre che su questo blog … sei l’unico ad aver detto certe cose, un bel record! Ne sei orgoglioso? Io penso che Palermo e il San Filippo Neri meritino più attenzione che non delle patetiche provocazioni di origine ideologica

  17. se68

    ettore maria mazzuola,
    1.esattamente il contrario: in europa, anche nei centri storici si adottano,senza alcun timore o pregiudizio, linguaggi contemporanei anche nei centri storici. In Italia le resistenze invece, in questo caso, sono parecchie, e sono il simbolo della nostra arretratezza culturale.
    2.Un buon architetto si confronta sempre con l’esistente, ma poi adotta un linguaggio adeguato al suo tempo, non a quello di fine ’800.
    3.Cosa c’entra l’ideologia con una buona o cattiva architettura?
    4.Non “credo all’autodifesa di Gregotti” cito i dati di fatto: il progetto in realtà non è stato mai completato; le insulse dovevano essere “aperte” nei piani terra con pilotis, oggi sappiamo come sono: colpa di Gregotti? Era previsto un grande parco centrale: oggi sappiamo cosa c’è, colpa di Gregotti? era previsto il prolungamento della via Libertà come fondamentale collegamento con la città: oggi conosciamo l’isolamento del quartiere, colpa di Gregotti? per anni sono mancati gli allacciamenti fognari, colpa di Gregotti? 4. certamente ho letto tutti i commenti, embè? Avrei dovuto allinearmi? tu di solito fai così? Il tuo piuttosto mi sembra un atteggiamento allineato con il “sentire comune” della “gente” , ma da architetto dovresti andare più a fondo negli argomenti di questo tipo. Inoltre, io ragiono senza alcun tipo di pregiudizio, credimi. Piuttosto sei tu ad avere un pregiudizio bello grosso nei confronti dell’architettura contemporanea che da architetto suona davvero in maniera surreale. Hai studiato Le Corbusier, Wright, Meier, Siza, Scarpa etc, etc e oggi ti scagli contro l’architettura contemporanea? Davvero non ti capisco..

  18. se68

    correggo,
    ettore maria mazzola

  19. se68

    correggo,
    insule.

  20. se68

    p.s.
    Le Corbusier, Wright, Meier, Siza, Scarpa etc, etc..anche loro per te hanno commesso scempi?
    Gli uomini antichi, dunque, erano migliori dei contemporanei? La tua sfiducia nei tuoi stessi confronti è preoccupante.

  21. ettore maria mazzola

    la tua fede lo è ancor di più.
    Sembra che qualcuno ti abbia schiacciato i piedi, è chiaro che c’è del personale nel tuo livore.
    Per colpa di questa fede nella visione distorta della modernità, che si chiama modernismo, la gente è sempre più sospettosa nei confronti degli architetti, ed ha ragione.
    Anche in Italia, purtroppo, ormai si fa scempio dei centri storici … ti piace l’abominio d’angolo tra via Roma e Piazza San Domenico? Ti piacciono (suppongo di si) il museo dell’Ara Pacis e lo stupro architettonico fatto da Fuksas all’edificio dell’Unione Militare di Roma? Ebbene, la massa dei cittadini s’è scagliata contro certe cose che gli architetti “colti” come te difendono. E’ vero che all’estero si consentono porcherie in aree centrali, ma è anche vero che all’estero si dia spazio a chi voglia intervenire in maniera più rispettosa senza ce i colleghi facciano accuse squallide e pretestuose come quelle lanciate da te. Nell’ottocento, periodo nel quale vorresti collocare il mio progetto, probabilmente perché non sai nemmeno di cosa stia parlando, la gente miope dell’Accademie des Beaux Arts aveva iniziato ad appiattire il mondo dell’architettura in nome di uno “stile” pseudo classico pesante, gratuito e spesso decontestualizzato. Chi si discostava da quel modo ideologico di fare architettura veniva ostracizzato, con grave danno per le città e i monumenti. A quegli individui miopi e dannosi Viollet-Le-Duc disse: «amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo … ma sdegnare non significa provare». La stessa cosa è quella che quelli come te stanno facendo oggi con un linguaggio ancora più astuso e dannoso di quello Neoclassico. Se posso darti un consiglio, visto che non ci sono speranze di recupero dei danni ideologici procurati da anni di lavaggio del cervello universitario, vivi e lascia vivere, ma non fare lezioni senza senso. L’elenco dei “maestri” che indichi è per me quanto di più deleterio, si va dal massacratore delle città (Le Corbusier è il responsabile principale della situazione odierna con la “sua” Carta di Atene) al violentatore seriale di edifici Scarpa (Palazzo Abbatellis, Castello Scaligero e tanto altro sempre uguale e privo di inventiva) Sarebbe il caso di aggiornarsi, sarebbe il caso che iniziassi a farti un’idea tua piuttosto che rimanere fedele alle balle ideologiche che ti hanno inculcato nell’università. PS il lapsus freudiano “Insulse” per “insule” era perfetto … per poco avevo sperato che iniziassi ad essere più onesto nei confronti di Gregotti … purtroppo devo ricredermi!

  22. se68

    Viollet-Le-Duc…..ora capisco! com’era, dov’era……il padre dei falsi storici…delle ricostruzioni in stile..
    in ogni caso, mi dispiace contraddirti ancora una volta..ma sai il mio livore…
    a te dispiacerà, ma la “gente” invece apprezza molto interventi contemporanei nelle città storiche ( fatti con attenzione progettuale, che per quanto mi riguarda include anche il dialogo con la “gente”). I recenti interventi alla Cala di Palermo ed in via Roma non saranno dei capolavori assoluti ma non sono affatto avvertiti come scempi dalla “gente”, anzi. L’intervento di Scarpa ( violentatore di edifici??) a palazzo Abatellis è avvertito, invece, come capolavoro dalla “gente” ( certo con un minimo di spessore culturale) e riconosciuto come tale anche dalla storia dell’architettura. Palazzo Amoroso dei BBPR è un ottimo esempio di come l’architettura contemporanea possa dialogare felicemente con un contesto storico e per questo è apprezzato anche dalla “gente” ed è presente nei libri di architettura contemporanea.
    Le città sono il frutto della stratigrafia dei vari periodi storici. Il Centro storico di Palermo è uno dei più interessanti al mondo proprio per la presenza di architetture arabo normanne, medioevali, barocche, neoclassiche, liberty, razionaliste e anche contemporanee.
    E’ ovvio che in tali contesti bisogna muoversi con assoluta attenzione; lo ZEN che comunque, ripeto, è un’ esperienza non riuscita ( ma non puoi addossare tutte le colpe al progettista se il progetto non è stato completato; a proposito, le insule, come dovresti sapere, sono una tipologia di abitazione romana alle quali evidentemente Gregotti fece riferimento utilizzando dunque una tipologia consolidata con un linguaggio contemporaneo, approccio dunque corretto a mio avviso ma infelice nel risultato straniante dunque nulla di “insulso”; dovresti essere tu più onesto nei confronti di un tuo collega che non ha mai visto completato il suo progetto originario)…., Lo Zen dovrebbe essere oggetto di concorso di progettazione che potrebbe prevedere, a mio avviso , anche una demolizione e ricostruzione di un quartiere giardino ( ovviamente con tipologie contemporanee).
    Ripeto, nessun livore e nessuna ideologia inculcata dall’università. Lì ho imparato semplicemente ad apprezzare la buona architettura; tu mi sembra invece ne abbia parecchio (livore) verso il linguaggio del tuo tempo e per quanto mi riguarda è un atteggiamento sbagliato perché, vedi, le Corbusier è stato semplicemente un genio non un “massacratore di città”. Riguardo gli scempi successivi delle città contemporanee, in particolare la mia, cui tu alludi, sono perfettamente d’accordo con te. Ma devi capire, (avresti dovuto all’università) che Le Corbusier non c’entra proprio nulla. Lì è stata mera speculazione edilizia, un linguaggio architettonico travisato ed un utilizzo delle nuove tecnologie (cemento armato) finalizzato per edificare semplice e banale cubatura. Quella che tu associ a Geni dell’architettura che hanno semplicemente tracciato la strada del futuro.

  23. ettore maria mazzola

    caro se68,
    capisco che poter parlare con te in maniera onesta e rispettosa di architettura ed urbanistica sarebbe come voler chiedere alla Monsanto di ammettere la dannosità dei pesticidi e degli OGM.
    Su Le Corbusier “genio” ti raccomando questo mio articolo che nessuno storico fondamentalista è ancora riuscito a controbattere:
    http://www.de-architectura.com/2009/07/dietro-il-modernismo-alcune-verita.html
    In ogni modo, i lettori di questo blog, né tantomeno Palermo e i residenti dello ZEN meritano di vedersi bombardati con messaggi relativi ad una squallida diatriba ideologica tendente a deviare il discorso, dagli aspetti socio-economico-politici di un quartiere fallimentare, ad una ideologica discussione “linguistica” sull’architettura possibile.
    Visto che qui si dovrebbe parlare di altro, non ho voglia di controbattere al discorso davvero divertente su Viollet e sugli edifici che la “gente” (leggasi gli studenti di architettura, gli architetti e gli snob) apprezzerebbero, previa la necessità di possedere “un minimo di spessore culturale”
    Mi limito a farti notare che certe frasi confermano la tendenza che vedrebbe gli architetti essere l’élite colta (come diceva le Corbusier) che deve decidere dove e come il popolino ignorante debba vivere. È quella stessa tendenza che recentemente ha portato molte archistars (e non) a suggerire la necessità di “istruire” la gente che non capisce l’architettura contemporanea … davvero una cialtronata degna della barzelletta di quell’uomo che, guidando in autostrada, sentì alla radio l’annuncio che diceva di fare attenzione ad un pazzo che guidava contromano. Egli pensò: uno solo? Ma qui sono centinaia!
    PS
    Invece di definirti con uno pseudonimo, perché non prendi coraggio e scrivi il tuo nome e mostrando altresì cosa fai? O la cosa ti spaventa?

  24. se68

    caro e.m.mazzola,
    tralasciando tue offensive allusioni su presunte competenze urbanistiche che tu reputi disoneste solo perchè diverse dalle tue…non ho intenzione di tediare alcuno con diatribe “ideologiche”, anche perchè non ho nessun approccio ideologico con l’architettura, al contrario di te. Inoltre, lascia decidere ai frequentatori di questo sito se siano o meno meritevoli di essere disturbati da “diatribe” che invece io reputo interessanti.
    Il motivo per cui frequento questo sito è esclusivamente finalizzato ad alimentare il dibattito culturale di questa città, ecco perchè non mi interessa esporre il mio nome o i miei lavori, al contrario tuo.
    Se lo fai, aspettati anche le critiche, perchè in democrazia non tutti possono essere d’accordo con te. E scusami se ho usato termini offensivi, ma su certi argomenti mi accaloro…
    Su Le Corbusier..bè non sono io a definirlo un genio, ma la storia dell’architettura.
    L’architettura è stata da sempre imposta agli uomini, anche durante i bei tempi che furono, ai quali tu ti ispiri..Lo stesso Viollet-Le_Duc ha imposto restauri che, a mio avviso, hanno fatto assumere a rovine un grottesco stile Walt Disney. Si tratta semplicemente non di istruire il popolo, ma di guidare correttamente le trasformazioni delle città attraverso le competenze acquisite. Se no a che servono le facoltà di architettura? Poi ci sono architetti bravi, meno bravi, archistar..ma sulla qualità del loro lavoro lascerei il giudizio alla “gente”.
    Per questo, le città civili adottano i concorsi di progettazione oppure affidano incarichi diretti a professionisti competenti e riconosciuti a livello internazionale.

  25. ettore maria mazzola

    Caro se68,
    è divertente notare come chi si diverta a lanciare accuse gratuite (Outlet e mancanza di conoscenze urbanistico architettoniche, Walt Disney, ecc.) come hai fatto tu, accusi gli altri (me) di fare “offensive allusioni”. Complimenti per l’arte di rigirare la frittata!
    Io non ho alcun approccio ideologico, e il fatto che tu me lo attribuisca dimostra che tu non abbia speso neanche un minuto a sforzarti di leggere e capire il progetto, come esso sia nato, e cosa voglia dire. … progetto tra l’altro che non è IL progetto, ma UN progetto dal quale partire per provare a migliorare il San Filippo Neri … così preso dal livore e dal pregiudizio, per le ragioni di cui a Viollet-Le-Duc, hai deciso di attaccarmi a testa bassa per poi accusare me di averti offeso!
    È davvero triste dover trasformare questo blog, per ragioni ideologiche, in un salotto di Maria De Filippi, lo ritengo davvero irrispettoso per i lettori e per gli ospiti.
    Se si vuole un dibattito costruttivo è utile in primis avere degli argomenti logici, e il discorso stilistico non lo è affatto, nemmeno tra architetti!
    Dici di volere un dibattito culturale, benissimo … ma ti pare che il discorso sull’outlet di Enna o su Walt Disney possa essere rispettoso e culturalmente alto?
    Dici di voler la democrazia, benissimo … ma non ti sembra che in un mondo democratico, specie se c’è stato un processo partecipativo alla base, un linguaggio architettonico ed urbanistico diverso da quello tuo possa aver diritto di apparire in una proposta che non è un progetto esecutivo? Qual è il problema? È forse il timore che la gente possa iniziare a fare paragoni? Se così fosse sarebbe davvero triste!
    Parliamo correttamente senza accalorarci, accetto le tue scuse per i termini offensivi nei miei confronti, ma rendiamoci conto che tra i lettori non ci sono solo gli architetti … la specie umana più litigiosa e rivale in assoluto, se vogliamo discutere di architettura, facciamolo altrove, o in privato, ne sarò ben felice.
    Sul tuo discorso “concorsi” sono d’accordissimo … ma, sul modo in cui essi risultano concepiti e gestiti oggi non ho alcuna fiducia. Proviamo a fare un concorso dove sia la gente comune a giudicare, o perlomeno facciamo in modo che ci sia una doppia commissione, una tecnica ed una di gente comune … e come è già avvenuto verremmo a scoprire che le decisioni della casta modernista che si auto glorifica premiando gli adepti ed ostracizzando i non allineati, non avrebbe più alcuna credibilità.
    A tal proposito ti faccio un esempio che ho studiato a fondo e del quale ho parlato in alcuni miei libri ed articoli.
    Poco più di cento anni fa il quartiere Testaccio di Roma era messo peggio delle banlieus parigine, il livello di violenza, di povertà, di alcolismo e di mortalità aveva raggiunto dei livelli che fanno dello ZEN attuale un’oasi felice. Il Papa vi fece visita nel 1905, venendo cacciato a pietrate. Ovviamente i “benpensanti” dell’epoca, l’aristocrazia e il clero vedevano il problema legato all’inciviltà di origine genetica insita nell’animo dei “trogloditi” residenti. A questo punto un proto sociologo, Domenico Orano, decise di trasferirsi vivendo in condizioni disumane, condizioni che descrisse in numerose pubblicazioni durate 5 anni (Come vive il popolo a Roma).
    Questo individuo, registrato dalla polizia come “sovversivo” per il lavoro che svolgeva, e con lui altri personaggi come Montemartini (il creatore del cooperativismo), mise su il Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio. Di questo Comitato facevano parte moltissime persone di ogni possibile estrazione culturale, fede religiosa ed appartenenza politica; essi intrapresero diverse battaglie tese a combattere l’urbanistica e l’architettura calatagli dall’alto (top-down) nelle quali non si riconoscevano affatto, così venne a scoprirsi che il comportamento violento nei confronti delle persone e degli edifici (cosa questa che comportava gravi costi manutentivi) era direttamente proporzionale al grado di mancanza di senso di appartenenza al luogo: l’edilizia di facciata, con condizioni disumane interne, che stava tanto bene al sistema degli architetti dell’epoca risultava deleterio nei quartieri operai.
    Il Comitato lavorò a lungo, ed individuò i criteri che si intendevano adottare per il “miglioramento economico e morale” del quartiere, e solo a quel punto venne chiamato in causa un architetto, Giulio Magni, il quale era emigrato in Romania per poter lavorare libero dai pregiudizi e dall’ostracismo dei colleghi locali, rigidamente allineati col sistema. L’architetto tramutò in progetto le esigenze dei cittadini di Testaccio e, immediatamente dopo la realizzazione di quegli edifici, si notò un brusco cambiamento in positivo tra i residenti; poi venne Quadrio Pirani, e i suoi edifici svilupparono ancor di più le “conquiste” del comitato anche in materia eziologica: la mortalità, nonostante la prima guerra mondiale in corso, scese a Testaccio da oltre il 43 per 1000 a meno del 12 per 1000, e la gente iniziò a sentirsi a casa propria, con delle aspettative di vita differenti, il comportamento dei residenti cambiò talmente in positivo che il Presidente dell’ICP Malgadi nel 1918 scrisse: «Parlare di arte in tema di case popolari può sembrare per lo meno esagerato; ma non si può certo negare l’utilità di cercare nella decorazione della casa popolare, sia pure con la semplicità imposta dalla ragione economica, il raggiungimento di un qualche effetto che la faccia apparire, anche agli occhi del modesto operaio, qualche cosa di diverso dalla vecchia ed opprimente casa che egli abitava […] Una casa popolare che, insieme ad una buona distribuzione degli appartamenti unisca un bello aspetto esteriore, è preferita ad un’altra […] e dove questo vi è si nota una maggior cura da parte degli inquilini nella buona tenuta del loro alloggio e in tutto ciò che è comune con gli alloggi del medesimo quartiere […] Una casa che piace si tiene con maggiore riguardo, ciò vuol dire che esercita anche una funzione educativa in chi la abita» … da quel momento in poi lo slogan dell’ICP divenne “La Casa Sana ed Educatrice”
    … Tutto questo era partito da un processo partecipativo “bottom-up” che aveva visto gli architetti avere un “ruolo a posteriori” rispetto ad altre discipline, e questo perché evidentemente gli architetti dell’epoca, analogamente a quanto accade oggi, avevano perso di credibilità per ragioni ideologiche.
    Il mio progetto per lo ZEN, così come quello che ho sviluppato per Corviale a Roma, partono dall’esempio che ho raccontato. Per comprendere fino in fondo il progetto occorrerebbe avere avuto la possibilità di leggere il libro che ho scritto e non ho ancora pubblicato, per questo non è accettabile una critica superficiale limitata a tre prospettive che parlano un linguaggio diverso da quello che siamo abituati a vedere nelle facoltà e sulle riviste patinate. A me interessa questo guardarsi alle spalle che ho raccontato nell’episodio di Testaccio, e non quello che tu definisci Outlet o Disney, dal quale eventualmente rifuggo.
    La nostra (degli architetti) mania del contemporaneo e del futuro, ci impedisce di accorgerci che per andare meglio avanti, per evolverci, avremmo bisogno sempre più spesso di vedere se in passato determinati problemi siano già stati risolti, Edmund Burke diceva: «Una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta» … Questo, se permetti, non è passatismo, ma saggezza e modestia, ciò che manca a chi pensa di poter fare sempre ciò che creda a spese degli altri.
    Mi piacerebbe parlare con te di architettura, purché in assenza di pregiudizi, ti dimostrerei le ragioni per le quali ritengo errato l’appiattimento portato avanti dal Neoclassicismo e peggio ancora dal Beaux Arts ottocentesco, ti racconterei il perché ritengo sia stato deleterio il Postmodernismo (sebbene abbia avuto l’importanza di rompere col Modernismo). Ti potrei spiegare l’enorme distanza tra il mio modo di vedere l’architettura e quello di miei colleghi contemporanei che fanno un uso gratuito ed uniforme di elementi classici senza per altro mostrare alcun interesse per l’urbanistica … cosa triste e folle! Potrei infine spiegarti come il mio approccio risulti lontano da quello di Léon Krier, sebbene abbia scritto l’introduzione ad un mio libro, Infine potrei mostrarti il perché ritenga assurdo parlare in Italia ed in Europa di New Urbanism.
    Come vedi, se si vuole il dibattito può divenire più serio, ma occorre cambiare i toni e gli argomenti. Prima il rispetto, poi il resto viene da sé.
    Cordiali saluti

  26. se68

    e.m.mazzola,
    alla fine il mio giudizio sul tuo lavoro è molto simile a quello espresso in precedenza da ciradesigner: apprezzamento sullo studio urbanistico ma non su quello architettonico visto negli schizzi riportati.
    Condivido dunque la metodologia progettuale che implica il coinvolgimento degli abitanti e della città in generale ( anche nei concorsi) ma negli schizzi viene alla fine rappresentato, per quanto mi riguarda, un falso storico.
    In tema di falsi storici, ricordi la ricostruzione del campanile di San Marco a Venezia? i turisti, poveretti, pensano sia vecchio di 500 anni….L’ esempio che hai citato, Port Grimaud, non si comprende in che epoca sia stato edificato….( sembra una porzione di Venezia catapultata lì..in realtà la realizzazione risale a circa 40 anni fa)
    Una nuova architettura, in qualsivoglia contesto venga realizzata, deve essere espressione del suo periodo storico, per essere credibile.
    Deve potersi collocare in un dato periodo, il nostro, che stiamo entrambi vivendo. Poi può essere buona o cattiva architettura, ma questo è un altro discorso.Devo dire che trovo comunque sempre paradossale ( in quanto architetto) il tuo ostracismo verso figure così importanti nella storia dell’architettura.
    A Palermo ( come del resto in qualsiasi città) è possibile leggere l’andamento della storia attraversando i vari quartieri. Partendo dal centro storico ( concentrato di periodi storici che si svolgevano entro le mura), l’espansione ottocentesca, le zone liberty ( ahimè in larga parte demolite) l’espansione selvaggia e criminale degli anni ’50-’60-’70 ( anche se di tanto in tanto vi si trovano ottimi esempi di architettura e anche urbanistica di quel periodo..hai presente l’edilizia residenziale di viale scaduto? ) fino alle più squallide periferie (ZEN compreso).
    Riguardo al rispetto, condivido. Il punto è che se tu definisci Scarpa un violentatore seriale di edifici mentre per me l’equivalente è il tuo Viollet-Le Duc, difficilmente troveremo un punto d’incontro ( io amo l’intervento di Scarpa a Palazzo Abatellis sia perché leggibile e dunque contestualizzabile temporalmente sia per il linguaggio adoperato) tu lo detesti per i medesimi motivi, suppongo. Io detesto il rifacimento “com’era dov’era” alla V.Le Duc perché in nome della nostalgia travisa la storia e realizza un falso.
    Cmq, scusa la lucidità, vista l’ora..
    Saluti

  27. ettore maria mazzola

    Sinceramente non ho mai visto un solo turista soffrire dopo aver scoperto che il campanile sia stato ricostruito com’era e dov’era all’inizio del novecento … cosa peraltro ben nota su tutte le guide turistiche e sotto il campanile. L’unico ad essersi lamentato è stato Cesare Brandi, la cui teoria sul “falso storico” aveva lo scopo di tutelare il mercato nero delle antichità come ben raccontato e documentato da Paolo Marconi … ma questa storia vera dei fatti non viene raccontata, purtroppo!
    Tanto per comprendere quanto falso sia il problema della “falsificazione della storia” in architettura, ti suggerisco di leggere questo mio saggio pubblicato anche all’estero
    http://archiwatch.it/2013/02/19/il-falso-storico-un-falso-problema/falso-storico-tutto-falso-doc/
    Non ci vuole molto a riflettere sull’esistenza o meno di questo “reato” prima del modernismo e, se vogliamo, prima di Ruskin. Non è un caso se da anni il mondo intero sia indignato davanti alle fesserie contenute nella Carta di Venezia.
    Quanto a Scarpa, il fatto che i suoi interventi siano leggibili è indubbio, ma a chi interessa se non agli architetti? Il suo squarciare gli angoli del castello veronese, le sue finestre (sempre lo stesso disegno) la cui suddivisione se ne strafrega delle aperture originarie è davvero uno scempio per i monumenti. I suoi “giardini” sempre presso il Castello Scaligero sono orribili, oltre che pericolosi per le caviglie, stesso problema che si ritrova nella Gipsoteca Canoviana di Possagno. Se io o te facessimo un progetto analogo ci verrebbe bocciato per ragioni di sicurezza, e siamo architetti, a lui è stato consentito pur non essendosi mai laureato! Le sue immani colate di cemento all’interno di strutture storiche sono orribili interventi autoreferenziali irriverenti nei confronti dei monumenti.
    Gradirei ricordare che un restauro dovrebbe rispettare il monumento, e non l’ego dell’autoproclamatosi artista/architetto! Negli altri paesi europei, e nel mondo, il restauro risponde alla definizione dei vocabolari: «restaurare: rimettere nelle condizioni originarie un manufatto o un’opera d’arte, mediante opportuni lavori di riparazione e reintegro» (vocabolario italiano Devoto – Oli, 1987) … meno che in Italia, dove prevalgono ancora i divieti di C. Brandi (Teoria del Restauro, 1963) e della Carta del Restauro di Venezia del 1964: «il rifacimento tanto più sarà consentito quanto più si allontanerà dall’aggiunta e mirerà a costituire un’unita’ nuova sulla vecchia» ciò per evitare le ‘falsificazioni’, le quali tuttavia avrebbero senso solo nel caso delle opere d’arte mobili e di antiquariato, commerciabili ed esportabili. Sono passati quasi 50 anni da quella Carta sciagurata che solo in Italia si continua ad ossequiare senza senso. Il resto del mondo civile ha capito i danni creati ai monumenti da approcci sbagliatissimi, sarebbe ora di renderci conto di essere rimasti indietro credendo di essere “avanti”.
    A proposito dei danni, ti segnalo anche questo mio saggio “Sui Danni Al Patrimonio Artistico Derivanti Da Una Cultura Monodirezionale”: http://www.ilcovile.it/scritti/COVILE_616.pdf

  28. se68

    e.m.mazzola,
    posso comprendere le tue ragioni sulle metodologie da adottare per un restauro o le ricostruzioni in stile, semplicemente non le condivido. Se si fosse dato l’incarico a E.Basile oggi avremmo un gioiello liberty..le opere di Scarpa sono autoreferenziali tanto quelle di Borromini…
    Ma non comprendo nè condivido la necessità di costruire opere nuove in stile, in particolare nelle zone di espansione delle città.
    Secondo questo ragionamento le cattedrali gotiche, figlie della scoperta di nuove tecnologie edilizie, non sarebbero mai nate.
    L’uomo con le sue scoperte scientifiche che lo si voglia o no, è costretto all’evoluzione.
    La scoperta del cemento armato è stata inevitabile…l’utilizzo fatto dopo gli anni ’50 è stato per gran parte finalizzato alla mera speculazione edilizia. ma la colpa non è certo del movimento moderno. Qui è stata la mafia ad imporre certe cubature e zero verde. Ribadisco che l’architettura ha il dovere a mio avviso sì di ascoltare le istanze sì di collaborare con processi partecipativi, ma ha anche il dovere di esprimere un linguaggio figlio della sua epoca.
    E’ vero, le città del passato erano probabilmente più a misura d’uomo, ma non perchè le architetture in muratura portante siano migliori di quelle in c.a…ecco da lì bisognerebbe partire, costruendo con maggiore qualità architettonica, anche perchè la stagione delle sperimentazioni urbanistiche stile ZEN è fortunatamente conclusa.

  29. se68

    ..l’incarico a Basile inerente la ricostruzione del campanile di san marco…

  30. se68

    inoltre,
    non trovo corretto avere il modo di individuare il periodo di costruzione di una architettura solo perché sta scritto all’interno di una guida turistica….e non credo, altresì, sia solo Brandi a lamentarsene..

  31. se68

    scusa lo spezzatino di concetti, ma..
    dunque, la storia dell’architettura ha attraversato, in estrema sintesi: la fase classica, gotica, rinascimentale, barocca, neoclassica, liberty, e poi….doveva fermarsi lì?

  32. ettore maria mazzola

    no di certo, ma una cosa è andare avanti un passo alla volta, un’altra è fare tabula rasa di tutto e promuovere una visione distorta e personale della modernità, che è il modernismo.
    Molto spesso mi capita di dover discutere di “linguaggio” e di uso odierno della tradizione. Esiste una bella differenza nel modo e nelle ragioni di lavorare in maniera tradizionale. Se hai letto quel poco che ho potuto pubblicare o commentare su questo progetto avrai capito alcune di quelle che possano essere le implicazioni di questo tipo di architettura anche ai fini culturali ed economici. So che sui primi non condividerai il discorso, ma non puoi negare almeno il secondo.
    Spesso mi si accusa in maniera gratuita di “passatismo”, qualcuno mi accomuna a Krier, altri al New Urbanism, ecc., ma sono “accuse” mosse da chi non sappia bene di cosa stia parlando, e lo fa in base ad un semplice sentimento di avversione. La cosa divertente è che alcuni miei colleghi “fondamentalisti” mi ritengono “non classico” perché sarei troppo interessato ai linguaggi dei luoghi, specie al vernacolo; per questo ci tengo a sottolineare che il mio approccio non è né quello del mio caro amico Léon Krier, né quello del New Urbanism.
    Ho fatto lunghissimi studi sulle ricerche svolte nel primo Novecento dai membri dell’Associazione Artistica Cultori di Architettura, da personaggi come Gustavo Giovannoni, Cesare Bazzani, Giovan Battista Milani, Plinio Marconi, Quadrio Pirani, Innocenzo Sabbatini, Armando Brasini, Carlo Broggi, Camillo Palmerini e tantissimi altri. Loro, molto prima e meglio del New Urbanism, avevano capito e descritto molto bene i processi evolutivi delle città, erano addivenuti alla cosiddetta città dei “ten minutes walk”, parlando di Moltiplicazione e Duplicazione di un modello urbano autosufficiente dimensionato tra gli 800 e i 1000 metri di diametro. Ma le mie ricerche pubblicate ne “La Città Sostenibile è Possibile” e nei precedenti libri a partire da “Contro Storia dell’Architettura Moderna in Italia” mi hanno fatto scoprire tantissime cose che i docenti universitari mi avevano tenuto nascoste, argomenti sociali, economici e organizzativi che hanno creato l’ultimo momento degno di nota della storia dell’architettura e della storia dell’urbanistica italiana … è a tutto questo che mi allaccio con il mio discorso. Dico sempre che non occorre tornare indietro di secoli … sarebbe ridicolo! Basta ricominciare da dove ci siamo fermati … di qui il discorso di continuità nella tradizione.
    Un’altra differenza sostanziale tra il mio modo di approcciare un progetto e quello dei colleghi afferenti un certo tipo di “classicismo” contemporaneo, è che io ritengo errato l’uso indiscriminato di un unico linguaggio per tutto il mondo … sarebbe come ripetere gli errori del Neoclassicismo prima e dell’International Style dopo. Per me ogni luogo ha una storia, delle tradizioni e delle esigenze che differiscono. Il mio libro “Architettura e Urbanistica – Istruzioni per l’Uso” si apriva con questa frase di Jože Ple?nik nella quale mi riconosco molto: «Mi cerco là dove mi ritrovo. Come un ragno, la mia aspirazione è di attaccare il mio filo alla tradizione e a partire da questa tessere la mia propria tela». A tutto questo la generazione di Le Corbusier e Terragni, ovvero la stessa generazione degli architetti bisognerebbe ripartire, ha voluto dare un colpo di spugna, partendo con la “Tavola degli Orrori del 1931. Se si fosse andati avanti rispettosamente non saremmo mai arrivati al disastro che tu stesso riconosci.

  33. se68

    Finalmente su una cosa siamo d’accordo. Ovvero che ogni luogo ha una storia, delle tradizioni e delle esigenze diverse.
    Infatti gli architetti che in realtà ammiro, più degli altri citati in precedenza, dei quali comunque riconosco il puro talento artistico ( sebbene a volte decontestualizzato) sono quelli appartenenti alla scuola portoghese ( Siza, Souto De Moura in particolare) ma anche il messicano Luis Barragan. Tutti questi operano con rivisitazioni in chiave contemporanea del linguaggio autoctono con l’utilizzo altresì di materiali locali. Anche io inoltre non amo le cosiddette archistar che, sebbene talvolta producano opere magnifiche, spesso realizzano mere macrosculture, ( ti cito) autoreferenziali. L’architettura è più complessa della scultura, lo sappiamo tutti, perché poi verrà vissuta dalle persone. Ma questa considerazione secondo me non deve tradursi nel costruire architetture che siano troppo indulgenti con un linguaggio ed una tipologia consolidata e riconosciuta come quella delle città del passato. La sfida è, non mi stanco di ripeterlo, costruire bene, in armonia con il contesto, con l’utilizzo di materiali o anche tecniche locali, ma attraverso l’utilizzo di linguaggi contemporanei, riconoscibili in futuro come appartenenti alla nostra epoca e non a quella del secolo scorso. Dal mio punto di vista vi è invece, diffuso tra le persone, un gusto del passato che non porta a nulla se non alla ricerca di linguaggi “rassicuranti”. Forse quello che tu hai definito livore nasce da questo.
    A Palermo sono in tanti che nell’area della villa Deliella di Basile, demolita criminalmente 50 anni fa, ricostruirebbero lo stesso identico volume edilizio oppure realizzerebbero un giardinetto, tale è l’avversione e la sfiducia ( qui hai ragione) nei confronti dell’architettura contemporanea. Bè tutto ciò per me si traduce in avversione e sfiducia verso loro stessi. Perché di fatto si ritengono incapaci di realizzare ( tramite un concorso ad esempio) un’opera altrettanto valida, ma contemporanea. I Palermitani sono ancora sotto shock a causa del sacco..invece, a mio avviso, proprio per superare detto shock si dovrebbe ripartire con l’architettura ( di qualità), non “vietarla” come è stato fatto dal recente PRG.

    Infine voglio ancora ricordarti che lo ZEN è sicuramente una esperienza infelice e che andrebbe probabilmente demolito.
    Ho solo una curiosità: aver potuto vedere il progetto realizzato in tutte le sue parti. Perché, sai bene che se oggi fossero state realizzate le insule sospese su pilotis, dunque permeabili ( non sorte di carceri come sono adesso, volute dagli stessi abitanti che operarono abusivamente la chiusura dei piani terra), sai bene che se realizzi tutte le infrastrutture ed i servizi ( nella foto in copertina del post viene rappresentata la piazza che doveva accogliere il parco centrale), sai bene che se fosse stato realizzato il prolungamento di via Libertà che nelle intenzioni del PRG doveva arrivare fin lì, forse qualcosa sarebbe cambiata. E per onestà bisogna dire che in tutto questo Gregotti, che avrà pure le sue belle colpe nel progetto, non c’entra proprio nulla.

  34. se68

    comunque,
    voglio ringraziarti per il confronto che, anche se mi fa rimanere fermo sulle mie convinzioni, ha in ogni caso acceso qualche lampadina e curiosità. Leggerò i tuoi articoli con interesse.
    Cordiali saluti

  35. ettore maria mazzola

    Caro se68,
    sul Portogallo preferisco decisamente il mio caro amico José Cornelio da Silva, ma non voglio fare il confronto tra il mio parere e il tuo che rimanderei volentieri altrove.
    Sulle demolizioni vergognose di 50 anni fa cui fai riferimento hai ragione da vendere! Purtroppo, però, anche quelle – sebbene siano il risultato delle schifosissime speculazioni –sono una conseguenza del risultato delle teorie urbanistico-architettoniche che modificarono il modo di guardare alla città ed alla campagna.
    Per capire meglio di cosa stia parlando rimando anche ai link che ho indicato in precedenza.
    Veniamo quindi ai tuoi dubbi e alle domande che mi poni:
    Penso che bisognerebbe riflettere maggiormente sul fatto che, come tu dici, i palermitani “ricostruirebbero lo stesso identico volume edilizio oppure realizzerebbero un giardinetto”!
    Inoltre, piuttosto che liquidare sommariamente quelli che vengono definiti “linguaggi rassicuranti”, bisognerebbe conoscere a fondo gli studi più avanzati di sociologia urbana e soprattutto di neurofisiologia, studi che mettono in diretto contatto il tipo di ambientazioni in cui si vive, il disagio sociale e moltissime patologie gravissime.
    Lo scorso anno ho assistito, sempre a Portland, alle conferenze straordinarie dei dottori (non architetti, ergo super partes) Richard Jackson e Andrew Dannenberg, autori di un libro eccezionale intitolato “Making Healthy Places” (Island Press 2012) … molti architetti avrebbero dovuto ascoltare le loro parole, basate su inconfutabili dati scientifici, (Jackson dopo esser stato ostracizzato è ora considerato una sorta di genio ed è stato chiamato a fare da consulente ad Obama), molti architetti dovrebbero iniziare ad accorgersi che esistono discipline scientifiche che studiano gli effetti collaterali della nostra professione … non è una bella cosa, ed è solo colpa del modo ideologico e folle con cui la nostra materia è stata trattata dal IV CIAM del ’33 in poi!
    Veniamo ora al discorso ZEN e responsabilità di Gregotti & co.
    Innanzitutto superiamo il fraintendimento intenzionale degli autori sul termine “insula”. Trattasi di abuso terminologico simile a quello che oggi si fa con termini come “sostenibilità”, “bioarchitettura”, “ecologia”, “Green Architecture” ecc. L’insula romana era ben altra cosa che le ridicole scatole ripetute all’infinito dello ZEN. L’insula aveva una multifunzionalità ben diversa, l’insula aveva le “tabernae” e i “cenacula” al piano terra e mezzanino, che mantenevano vitale e più “sicuro” il passeggio lungo le strade, qui abbiamo l’ipotesi di far camminare la gente al piano rialzato con una grave disattenzione nei confronti del commercio … nonostante a quell’epoca fosse già un “cult” il libro di Jane Jacobs “Life and Death of Great American Cities” del 1961!
    Il progetto dello ZEN, per bocca di Gregotti partiva dall’assurdo presupposto che “i centri storici fossero l’incarnazione della malvagità borghese”, e come tali dovessero “essere abbandonati perché non consoni alla emergente classe operaia. Questo, lo vedremo, fu uno dei cavalli di battaglia della visione politica che portò a concepire lo ZEN.
    Prima di ricordare ulteriormente le ragioni per le quali non sia possibile sgravare gli autori dello ZEN dalla responsabilità del fallimento totale del loro progetto, occorre riconoscere altresì che il tessuto proposto (conosco in realtà moltissime altre cose sul progetto che non posso dire pubblicamente per evitare denunce) risulti del tutto indipendente dal contesto ove sorge. Uno studio anche sommario dei tracciati viari e delle preesistenze mostra come la griglia di Gregotti & co. risulti esser stata calata lì strafregandosene non solo degli agglomerati urbani circostanti, ma anche dello ZEN 1. … Il sistema stradale preesistente lo ZEN, specie prima dell’edificazione dello ZEN 2 e della circonvallazione, manteneva un rapporto di collegamento tra le aree urbanizzate del versante Ovest (Cardillo, Villa Amari, Villa Bonocore) e quelle del versante Est (Villa Politi, Alliata, Villa Castelforte, Mondello), così come tra le aree urbanizzate del versante Nord (Pescia, Villa Raffo, Villa Verde, Villa Scalea, Villa Portello, Fondo Verde, Tommaso Natale, Partanna, Villa Mattei, Valdesi) e quelle Sud (Patti, Fondo Bacchi, Pallavicino, Centro Storico di Palermo).
    È utile a tal proposito ricordare quanto ha acutamente evidenziato il sociologo americano Richard Sennet, la griglia ortogonale urbana rappresenta «la prima manifestazione di una forma particolarmente moderna di repressione che nega il valore degli altri e dei luoghi specificatamente addetti alla costruzione della banalità quotidiana» (American Cities: the Grid Plan and the Protestant Ethic – International Social Science Journal; XLII, 3, 1990).
    Il discorso sarebbe ancora più lungo e complesso … come ho già detto, ci ho scritto un libro di 125 pagine in proposito, ergo non mi è possibile riassumere il tutto in un commento sul blog.
    Quindi, tornando al discorso sulle responsabilità dirette del progettista e la sua ipocrisia, vorrei ricordare ciò che il “signor” Gregotti disse in occasione della famosa intervista a “Le Iene” del 2007, della quale possiedo il video integrale:
    E. Lucci – Lei è un grandissimo architetto. Le posso chiedere una cosa? Come ha fatto a progettare lo ZEN di Palermo? Da dove le è uscito fuori?
    V. Gregotti – No, scusi, è un progetto di cui sono assolutamente orgoglioso, e trovo che è un progetto straordinario, poi naturalmente non l’hanno mai finito, per vent’anni sono stati senza fognature e senza luce ..
    E. Lucci – ovviamente lei non ha delle responsabilità sul funzionamento di quella struttura.
    V. Gregotti – Se lei sa come funzionano le cose in Italia specialmente con le cose pubbliche …
    E. Lucci – eh, ma sapendo che le cose in Italia funzionano così no? Lei non la poteva pensare un po’ meglio sta struttura?
    V. Gregotti – meglio o peggio cosa vuol dire? Se mi spiega cosa vuol dire …
    E. Lucci – Più bella, più bella!
    V. Gregotti – Più bella di così non si può pensare! Guardi io la trovo bellissima, non bella, bellissima!
    E. Lucci – Ma non è che spesso gli architetti c’hanno in testa una cosa che a loro gli sembra bella, poi realizzano una cosa, e là dentro ci deve vivere migliaia di persone che però vivranno per tutta la loro vita in un posto schifoso.
    V. Gregotti – appunto!
    E. Lucci – Non è il caso dello ZEN secondo lei
    V. Gregotti – Assolutamente no!
    E. Lucci – Lei vive e lavora in un posto meraviglioso … dica la verità: Ma lei ci vivrebbe allo ZEN?
    V. Gregotti – … nn non, non ci sono queste condizioni … io non posso vivere allo ZEN, non faccio il proletario, faccio un altro mestiere, non faccio l’operario, faccio un’altra cosa, completamente diversa!

    Questo dopo aver dichiarato che lo ZEN avrebbe dovuto “rappresentare la Nuova Gerusalemme, un luogo senza distinzioni di classi sociali, luogo dell’uguaglianza e della fratellanza”! …
    Non sarebbe dunque il caso di smetterla con la difesa di ufficio nei confronti di chi abbia voluto, con denaro pubblico, sperimentare su delle ignare cavie umane le sue teorie folli? Non sarebbe il caso di renderci conto che certi comportamenti, come dimostrato già nel Testaccio del 1905, sono il risultato di impianti urbani ed architetture criminogene?

  36. se68

    e.m..mazzola,
    c’è una indubbia componente di verità in quello che dici relativamente a colpe e autoassolvimento di Gregotti, anche perchè è fastidiosa l’assenza nelle sue argomentazioni di uno straccio di autocritica. Il punto è che comunque, il tuo, mi sembra un ragionamento troppo lineare che non tiene conto di talune componenti oggettive ( già descritte da me) che dovrebbero completare il quadro del fallimento sociale dello Zen, distribuendo con maggiore equità le colpe.
    In particolare, mi ha sempre colpito l’isolamento del quartiere dal resto della città. Sono convinto che con qualsivoglia tipologia urbanistico-archtettonica, il problema là persisterebbe. Il prolungamento della via Libertà sarebbe stato fondamentale in tal senso.
    In fondo se non si fosse prolungata la via Libertà fino alla statua (ove oggi si conclude), stessa sorte probabilmente sarebbe toccata al quartiere Matteotti, edificato all’inizio del ‘900, in aperta campagna, proprio in previsione del prolungamento di via Libertà.
    Oggi detto quartiere, nato come popolare, è uno dei più esclusivi della città, perchè unico esempio di quartiere giardino a Palermo, ma anche perchè strettamente connesso con il tessuto urbano della città.
    Dunque, temo che anche una architettura più “umana” , che comunque è doveroso perseguire, ( io lo farei con metodologie diverse dalle tue) nel caso in questione non sarebbe bastata ad evitare il disastro sociale.
    In più sono convinto che il fallimento dipenda anche dalla deportazione in massa di intere classi sociali omogenee ( come è avvenuto allo ZEN ) portate tutte a convivere nello stesso luogo. Il mio quartiere ideale si comporrebbe di tutte le classi sociali, perchè in fondo anche fondoanfossi, “quartiere “bene” di Palermo, è una sorta di ghetto recintato. Inoltre, insisto sulla chiusura abusiva delle insule ad opera degli abitanti che di fatto hanno stravolto il progetto con un procedimento inverso (in questo specifico caso) da quello sostenuto nelle tue argomentazioni, ovvero non l’architettura che abbrutisce gli uomini ma gli uomini che abbrutiscono l’architettura, pagandone poi le conseguenze.
    Ovviamente, non è uno scaricare sugli abitanti il fallimento dello ZEN, ma la ricerca di una analisi oggettiva che analizza i dati di fatto, che per me in sintesi comprendono:
    colpe di gregotti nell’aver pensato, di fatto, un’ architettura alienante nella sua ripetitività;
    colpe dell’amministrazione comunale che non ha realizzato i servizi lasciando lo Zen totalmente privo di infrastrutture e isolato dal resto della città; colpe degli stessi abitanti che di fatto hanno vandalizzato il loro stesso quartiere e non credo perchè non fosse di loro gradimento.( hanno realizzato box privati abusivi)

  37. ettore maria mazzola

    caro se68,
    il criterio con il quale da un certo punto della storia in poi in Italia si sono fatti i “quartieri popolari” è stato profondamente sbagliato.
    All’inizio del secolo scorso era rigorosamente vietato fare quartieri per un’unica fascia sociale. I violenti moti rivoluzionari scaturiti nei quartieri operai parigini del 1870 era ancora molto viva nei ricordi di chi legiferò all’inizio del ‘900 (Legge Luzzatti 1903)!
    L’idea che certe ghettizzazioni fossero sbagliate era già chiaro nella mente del socialista utopista ottocentesco Owen che diceva: «Quando la borghesia si accorgerà che le città sono diventate delle polveriere, che in esse maturano idee rivoluzionarie, e addirittura vere rivoluzioni, in quel momento crederà opportuno intervenire non tanto per cercare di migliorare la condizione della classe operaia, quanto per conservare se stessa e il suo potere»!
    A quell’epoca si riteneva importantissima la necessità di riaffermare il valore della continuità tra case, strade e piazze, ovvero tra i luoghi deputati agli aspetti privati della vita di ogni giorno e quelli destinati ad un ambito di relazioni allargate, questo è il motivo per cui ritengo a maggior ragione che oggi i nuovi quartieri (ma anche la riqualificazione di quelli esistenti) dovrebbero intendersi come degli spazi compositi in cui le case, e/o gli edifici speciali, sono solo un elemento della composizione urbanistica, importante ma non sufficiente a soddisfare le necessità di incontro e relazioni sociali!
    L’Ufficio Municipale del Lavoro (le cui norme facevano da Regolamento Edilizio di Roma) aveva un articolo che descriveva il ruolo sociale dell’urbanistica: «[…] se può facilitare la fusione tra le classi, la società le sarà debitrice della risoluzione di un compito importante» (Ufficio Municipale del Lavoro di Roma, “Il Problema Edilizio”, Ed. Centenari, Roma 1920) questo perché, era stato notato negli studi sociologici di cui al precedente commento che, per la natura delle cose, gli esseri umani tendono ad imitare chi gli stia un gradino più su nella scala sociale, e tendono ad auto educarsi per emulazione di determinati modelli. Nei quartieri dove si creava il mix sociale si notava una situazione ben differente da quella dei quartieri ghetto! Queste norme, espressamente riportate nel Regolamento dell’ICP sin dalla Legge Luzzatti, hanno governato la costruzione dei quartieri popolari dove le case per gli operai si mischiavano con quelle del ceto medio impiegatizio, migliorando realmente lo stile di vita dei residenti ed azzerando i costi di quelle popolari! … Fino alle idiozie di quei personaggi che decisero che “i centri storici fossero l’incarnazione della malvagità borghese”, e come tali dovessero “essere abbandonati perché non consoni alla emergente classe operaia.
    Le norme di cui sopra le ho ritrovate pedissequamente riportate nel sistema attuale olandese, dove con i miei studenti abbiamo progettato due lotti per la cittadina di Brandevoort progettata da Rob Krier, lotti che dovevano essere solo un atto dimostrativo progettuale e che invece sono stati realizzati per intero divenendo il modello cui quelli a venire dovranno attenersi
    http://www.simmetria.org/simmetrianew/images/stories/pdf/rivista_18_2013_a5.pdf
    Nel progetto per la Rigenerazione dello ZEN c’è posto per poco più di 5000 nuovi residenti, la cui presenza non è stata solo pensata per ragioni di integrazione, ma anche economiche: quando si progettava secondo i criteri che ho raccontato in maniera molto spicciola, quelle case “eccedenti” e tutte le attività extra residenziali, consentivano non solo di azzerare i costi dell’edilizia popolare ed avere quartieri più vitali, ma addirittura di portare il bilancio in positivo (molto positivo) per l’Istituto per le Case Popolari che, a grande scala, oggi si tramuterebbe in riduzione delle tasse per tutti … non è fantascienza, lo facevamo qui in Italia finché il fascismo non degradò l’ICP ad essere un mero ente gestionale dell’edilizia popolare costruita da terzi. Come ho detto, in Olanda usano ancora certi criteri … e la cosa funziona alla grande!
    Sempre sul discorso economico (ma qui entrano in ballo anche discorsi estetici e neurofisiologici troppo lunghi per essere descritti brevemente), la riduzione delle tasse per tutti deriverebbe anche dalla riduzione dei costi manutentivi dell’edilizia pubblica. Anche in questo caso la cosa era nota già quando nel 1910 nella Relazione descrittiva per il progetto per “un nuovo tipo di Casa Popolare” l’ingegnere architetto Quadrio Pirani scrisse: «non solo la casa bella all’esterno e pulita all’interno contribuisce all’elevazione delle classi che la abitano, ma che un giusto impiego di materiali durevoli, quali i laterizi e le maioliche, porta ad una diminuzione nel tempo delle spese di manutenzione degli edifici, soprattutto quando si tratti di edifici a più piani riuniti in un isolato o in un quartiere urbano» … quelle case di Testaccio in 103 anni non sono mai state restaurate ed oggi (come al quartiere Matteotti di Palermo) vengono considerate alla stessa stregua del centro storico! Per inciso, nel mio libro “La Città Sostenibile è Possibile” ho pubblicato i costi finali (rivalutati ad oggi) di realizzazione di quegli edifici, dati che ho ritrovato presso l’Archivio dell’IACP … ebbene quelle case sono costate il 60% in meno dell’edilizia corrente, nonostante le decorazioni ed i materiali!)
    Quanto al mix sociale, se vogliamo, il centro storico di Palermo ci mostra come la gente, di diversa estrazione sociale viva gomito a gomito, e talvolta come la classe sociale identica a quella dello ZEN viva concentrata in una zona … eppure non accade ciò che allo ZEN risulta all’ordine del giorno. Come mai? Non sarà che quegli studi sociologici, psicologici e neurofisiologici di cui al mio precedente commento corrispondano alla verità? Non sarà che un certo tipo di urbanistica ed edilizia “stile Sing-Sing” ripetitiva risulti davvero criminogena?
    Il progetto per lo ZEN, a causa dei tempi che mi erano stati dati è stato sviluppato in soli 90 giorni, ma la ricerca sulla quale si basa è durata almeno 10 anni, (si veda il mio “La Città Sostenibile è Possibile), per questo non credo che possa essere né una colpa, né una critica il fatto che, come dici nel tuo commento, “mi sembra un ragionamento troppo lineare”. Da quando in qua la logica è un problema?
    Oggi, grazie alla conoscenza del nostro passato recente, avremmo le norme e gli strumenti per tornare a fare ciò che facevamo talmente bene da fare scuola per il resto del mondo, si tratta solo di riuscire a superare gli ostacoli ideologici per gli architetti, e quelli politici per chi governa. Ricercare, sperimentando sempre nuove soluzioni, non sempre è la migliore via, talvolta è più utile non dismettere ciò che funziona alla perfezione … il futuro verrà da sé!

  38. se68

    e.m.mazzola,
    ..ragionamento troppo lineare perché, secondo me, tende ad individuare il fallimento esclusivamente nelle colpe del progettista, escludendo le altre concause (almeno per me altrettanto importanti). Eppure, i nuovi quartieri ecosostenibili che stanno nascendo, in particolare in nord europa, come ad esempio Hammerby Sjöstad a Stoccolma sono già presente..nonostante io non ami particolarmente quel tipo di linguaggio architettonico.
    In ogni caso, credo sempre che si possano ricreare, in un nuovo quartiere, quelle condizioni abitative ideali che rendano più facile anche la convivenza tra classi diverse, adoperando tuttavia linguaggi diversi e nuovi rispetto a quelli tradizionali. ( sempre convinto che l’uomo è “costretto” all’ evoluzione, anche dei linguaggi architettonici, anche perché nella storia, detta evoluzione, è sempre avvenuta.. l’invenzione dell’arco a sesto acuto rappresentò una rivoluzione tecnica che portò ad una rivoluzione anche stilistica) Penso che l’architettura contemporanea, possa e debba utilizzare un linguaggio più “umano”, soprattutto nei nuovi quartieri residenziali; magari anche attraverso l’utilizzo di tecniche e materiali già sperimentati e a basso costo manutentivo, come tu auspichi, forse anche con l’utilizzo di forme di decorazione…anche se la frase “less is more” a me affascinerà sempre….

  39. […] Mesi fa avevo pubblicato su “mobilitapalermo” una mia lettera aperta al sindaco Leoluca Orlando, lettera che aveva suscitato un piacevole e costruttivo dibattito. A seguito di quella lettera sono stato contattato dal sindaco e dall’assessore Giuffré, con la promessa che presto il progetto sarebbe stato presentato nel capoluogo siciliano per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica sulle problematiche del quartiere, troppo spesso strumentalizzate per i più svariati interessi. Purtroppo, ovviamente, tra le reali intenzioni e le miriadi di problematiche che possono attanagliare un’amministrazione cittadina ci sono tempi e distanze difficilmente coniugabili, quindi fino ad oggi non è stato possibile mantenere questa promessa, per la quale spero ancora.E’ stato quindi per me un grande piacere apprendere nei giorni scorsi che la dr.ssa Spallitta sembra aver raccolto la proposta di demolire e ricostruire il quartiere più tristemente noto d’Italia. La dr.ssa Spallitta mi ha anche contattato, dicendomi di essere interessata ad organizzare presto a Palermo una presentazione ufficiale di questa proposta, una presentazione che faccia comprendere come la cosa possa realizzarsi nel rispetto dei luoghi e della gente, ed è per questo ho acettato di scrivere il pezzo che vi allego, nel quale vengono spiegate tante cose utili da conoscere prima di qualsivoglia strumentalizzazione, politica o ideologica che sia. […]

  40. Buongiorno a tutti!
    abito a S. Filippo Neri da quasi 2 anni, nella zona della Chiesa.
    tutto quello che avete detto è molto interessante, condivisibile e bellissimo e auspico la riuscita di questo bel progetto del Dott. Mazzola.
    A proposito ma poi il Sindaco le ha risposto?
    Purtroppo per me e per chi ci vive è un disastro: le discariche che esistono vengono sistematicamente ignorate da chi dovrebbe ripulire, anche dietro segnalazione (ne ho fatte due, per la cronaca) e non ignorate da chi impunemente continua ad ingrossare le suddette, tant’è che mica ci pensano due volte prima di scaricare ogni sorta di materiali, da elettrodomestici ad arredamenti fino a residui di materiali edili di cui siamo stracolmi.
    Ironizzando dico: ma questa è la normalità! lo dico perchè sia cittadini che Istituzioni non fanno una beata m. come dice A. Albanese.
    Quel che non è normale è che nella discarica dietro la Chiesa S. Filippo e nella discarica ex Giardino della Civiltà ho riscontrato la presenza di ETERNIT, cioè AMIANTO.
    Ho segnalato la situazione allegando documentazione fotografica al dirigente del Servizio Ambiente del Comune di Palermo, stessa cosa ho fatto col Presidente della VII Circoscrizione.
    Purtroppo e ovviamente (come mi avevano detto) nessuna risposta.
    Adesso io mi sono veramente stufato, per non dire rotto, oltre che ad una petizione popolare avrei intenzione di fare una bella denuncia x attentato alla salute pubblica (se qualcuno mi indica dove sarebbe meglio, polizia o carabinieri e/o altri, mi farebbe un favore), con l’amianto non si scherza e soprattutto non si temporeggia.
    In questa battaglia mi ritrovo quasi solo, dico quasi perchè un paio di amici residenti potrei riuscire a coinvolgerli, per cui se qualcuno della zona che legge è interessato ad unirsi, ben venga. Se ci muoviamo ci smuoviamo, basta con questa rassegnazione tanto non cambia nulla, cominciamo col cambiare noi se no il mondo non riusciremo a cambiarlo mai.
    pace e bene a tutti…
    i miei riferimenti:
    Alberto Corrente
    335.6232095
    [email protected]

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