Breve storia triste del “roseto” di viale Campania, scritta dall’ex assessore Giuseppe Barbera

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Un lembo di terra che racchiude un pezzo di storia di questa città, raccontata amaramente dall’ex assessore al verde, Giuseppe Barbera. La sua valutazione sullo status attuale merita una riflessione.

Il testo è tratto dalla sua bacheca Facebook, pubblicato anche su Repubblica.


 

Il roseto di viale Lazio chiude la triste storia di quel che fu il “Verde Terrasi“, uno degli ultimi scampoli della Piana dei Colli che, alla fine degli anni 80, era ancora un giardino di mandarini e limoni, punteggiato da nespoli, grandi carrubi e alti noci e gelsi, chiuso da un filare di susini che, in primavera, esplodevano in una luminosa fioritura. Un orto urbano: proprio come quelli che a New York o Berlino impiantano come contributo alla crisi della città contemporanea e di cui noi, che ne abbiamo ancora tanti, non ci curiamo affidandoli all’eroismo degli ultimi agricoltori.


Una storia che è rappresentativa delle vicende del sacco edilizio. Nel 1965, la famiglia Terrasi ottiene la concessione edilizia e il comune s’impegna a realizzare le vie Ausonia e Trinacria in cambio del rettangolo del verde Terrasi. Inizia subito un contenzioso. Tra carte scomparse, impegni non mantenuti, palazzinari locali e romani, omissioni di atti d’ufficio la vicenda arriverà a occupare spazio nelle carte dell’Antimafia e valutata come possibile causa dell’omicidio di Piersanti Mattarella.

Nel 1988, allontanati anche gli agricoltori che avevano trasformato in giardino una distesa di fichidindia, la storia si chiude con un progetto per un parco. Inizia allora una tenace protesta ambientalista. Con appelli e occupazioni si cerca di salvare un pezzo di Conca d’oro e, per la prima volta, una parte della città mostra di voler riscattare l’ignavia degli anni precedenti. C’erano però molti soldi da spendere (2,5 miliardi di lire); questa era la cosa che contava e la lotta sortì solo qualche parziale effetto. Con la consulenza di docenti universitari si salvarono la metà dei mandarini e nacque quella che oggi è villa Costa, incongrua commistione tra stili paesaggistici diversi, interessi pubblici (biblioteca comunale) e privati (ristorante), lasciata a un ordinario abbandono.

Nel frattempo, in un tratto residuo ridotto a discarica, si preparò la strada allo scempio definitivo che avrebbe portato all’orrendo giardino battezzato roseto (chiamarlo così, per chi ha cara la grazia e la delicatezza delle rose, fa quasi male). Un insieme di forme sgraziate ed errori tecnici che, nel tempo, lo renderanno ancora più brutto e infrequentabile. 

Quattro anni fa, appena nominato assessore, fermai i lavori e fu predisposto, nel pieno accordo politico e amministrativo, un progetto alternativo. Si era speso il 50% delle somme (900.000 euro) e con quel che restava, si mirava quantomeno a ridurre il danno. Un nuovo progetto fu redatto da Ornella Amara, paesaggista comunale brava e generosa. Dopo due anni fu definitivamente approvato e si diede avvio alla realizzazione.

Ricordo tv, giornalisti e dichiarazioni soddisfatte per il pericolo scampato. Quindici giorni dopo non toccò più a me seguire la vicenda, i lavori furono subito sospesi e si riesumò, fino a realizzarlo, il progetto originario.

Questa è la fine della storia. Quel che offende e spaventa è la conferma che Palermo ha ormai del tutto dimenticato una tradizione di qualità paesaggistica che poche città potevano vantare e, perfino, la oltraggia. Si pensi al kitsch finto islamico della Zisa, all’abbandono della Favorita, ai veleni del parco Cassara’, al “ripristino filologico” del giardino del villino Florio. Ai tempi del Genoard, di villa Giulia, della Favorita borbonica, dei giardini romantici e liberty, di quelli vaghi e fruttuosi di agrumi sono sopravvenuti quelli del cemento, degli affari, dell’ignoranza.

E quando si parla di cultura, pochi, pochissimi, ricordano (o hanno mai saputo) che i giardini sono opere della creatività, espressioni d’arte che dovremmo avere care almeno quanto i teatri, i musei, i festival, la musica, la letteratura, le esposizioni. Sono luoghi privilegiati dell’incontro tra natura e storia (natura che diventa cultura) e che, ai visitatori illustri di questa città, hanno fatto pensare al paradiso. Chissà cosa direbbero ora a guardare le ridicole stelle, gli alberi storti e le rose già sfiorite e ammalate.

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19 Thoughts to “Breve storia triste del “roseto” di viale Campania, scritta dall’ex assessore Giuseppe Barbera”

  1. belfagor

    Lo sfogo dell’ex assessore Barbera è pienamente condivisibile. Sul destino di Fondo Terrasi si sono combattute battaglie civili e politiche durissime. Come giustamente ricordava il prof. Barbera , su tale pezzo di terreno grava il sospetto di interessi “inconfessabili”. Forse l’uccisione dell’ex Presidente regionale Mattarella è legata anche a tale impegno civile, come è molto probabile che l’ex assessore Barbera sia stato “ defenestrato” proprio a causa della sua “ostinazione” per salvare ciò che restava di tale fondo.
    Purtroppo , dopo anni di denunce e battaglie, dobbiamo amaramente ammettere, che la parte sana della città ha perso. Aspettiamoci la solita inaugurazione in pompa magna del “nuovo roseto”, sperando che non faccia la fine dell’attigua Villa Costa.

  2. fabio77

    All’elenco delle occasione mancate, citate nel condivisibile ed amaro sfogo del prof. Barbera, aggiungerei il parco agricolo di Ciaculli, finito nel dimenticatoio, tra discariche abusive e terreni abbandonati, dopo i trionfanti squilli di tromba degli anni 90.

  3. Athon

    Presa coscienza, bisogna dunque iniziare a rimediare agli errori del passato.

  4. Athon

    Ricordare gli errori del passato e denunciare lo stato presente delle cose, in sé sono attività sterili se lo sguardo non viene contemporaneamente focalizzato sul futuro, sulle cose da farsi. In tal caso costituiscono invece la base solida, imprescindibile ed implicazionale della propositività.

    Vista la competenza e la passione dell’ex assessore al verde Giuseppe Barbera, sono certo che avrebbe idee interessanti.

  5. Palerma La Malata

    Racconto molto molto triste ma anche niente di sorprendente; semmai prova e dimostra quello che tutti sappiamo già: che l’amore per la bellezza delle piante, dei fiori degli alberi e per gli spazi verdi non fa parte del DNA dei Palermitani quanto lo fa invece quello per gli spaghetti, per le arancine e per il Forza Palermo.
    Palermo e i Palermitani hanno ed ottengono quello che si meritano di ottenere.

    1. Athon

      Palerma La Malata, io invece relativizzerei ed eviterei di fare affermazioni basate su assolutismi e generalizzazioni, che in sé nascodono sempre una qualche forma di menzogna o errore. Il Dna, per quanto lo si possa usare in senso figurato, è qualcosa che riguarda soltanto i singoli esseri viventi, animali, compreso l’uomo, e vegetali.

      Una comunità, nazionale, regionale o cittadina, non ha un Dna. Basterebbe leggere solo le prime due pagine di un qualsiasi manuale di sociologia e antropologia. Una comunità ha semmai una definizione identitaria e una percezione delle cose che sono continuamente ed inesorabilmente soggette a riformulazione.

      I palermitani del XVIII secolo erano certamente diversi da quelli del XIX, e questi lo erano un po’ rispetto quelli dei primi decenni del XX secolo (quando Palermo era una delle capitali europee della Belle Epoque e si aveva cura per la bellezza, l’arte, il verde, ed era in atto anche un’industrializzazione rispettosa della città), e questi a loro volta erano diversi da quelli degli anni ’50 (che avevano sulle spalle il dramma dei bombardamenti e delle devastazioni) , e questi ultimi erano diversi da noi oggi (che sappiamo quanto è successo nella seconda metà del ‘900 col boom edilizio e il conseguente imbarbarimento sociale, ma non possiamo fermarci ad inquadrare solo questa fetta assumendola addirittura a “Dna” dei palermitani. Sarebbe un evidente errore dovuto ad una limitazione della prospettiva), e i palermitani che ci saranno fra 30 anni avranno percezioni un po’ diverse rispetto quelle che si hanno oggi… e così via.

      Ma anche guardando solo ai palermitani di oggi, non lascerei in ombra i tanti cittadini che hanno recentemente donato alberi per Monte Pellegrino, quelli che vanno a ripulire gli imbrattamenti dei vandali, quelli di guerrilla gardening, quelli delle tante associazioni culturali etc…etc…

      1. Palerma La Malata

        Athon,
        il verde non è un discorso accademico come lo vuoi presentare tu: è una realtà che in alcune città esiste ed in altre no.
        Ne’ tu, ne’ io, abbiamo vissuto nella Palermo dei secoli scorsi e non sappiamo come era la realtà oltre la facciata presentata sui libri e dipinti. Io sospetto che la maggior parte di essa era messa maluccio.
        Tornando al presente, scommetto che tu hai visitato meno paesi del mondo di me.
        Ci sono Stati, e le loro città, dove l’importanza del verde non necessita di essere analizzata o provata con discorsi storici o scientifici come i tuoi. Quel verde lo vedi con gli occhi, lo respiri col naso e ci cammini dentro con tutto il tuo corpo.
        Tu menzioni buone azioni intraprese da alcuni cittadini di Palermo. E’ giusto che tu le evidenzi ma devi farlo proprio perché sono azione rare.
        Puoi girare la frittata così o colì ma il verde a Palermo è un’eccezione. La regola, invece, è una grigia, asfaltata ed ipercementificata realtà.

        1. Athon

          Non voglio far polemica ma ravviso troppi apriorismi, azzardi, “sospetti” e “scommesse” nella tua risposta. Il mio era un discorso normalissimo. Se poi qualsiasi discorso costruito attorno a riflessioni moderate, concetti risaputi e competenze possedute, e che si prova tra l’altro a codificare in un registro che sia il più possibile chiaro ed efficace, deve esser tacciato di accademismo, allora abbassiamoci tutti quanti al livello dei discorsi da bar, umorali e poco utili.

          Premesso che non sono competente di questioni strettamente relative al verde (su cui sto solo zitto ad ascoltare chi ne sa più di me, eventualmente per imparare qualcosina, e se proprio voglio dire anch’io la mia lo faccio in punta di piedi), mi chiedo come si possa sostenere che il verde non sia anche una questione accademica. Per le Facoltà di agraria è il fondamentale oggetto di indagine ( tutto il mondo le possiede, compreso il Giappone, che ho visitato in tutta la zona sud per l’intero mese di ottobre 2012 e dove la natura è già di per sé parte di un sistema religioso, ma ti assicuro che il valore del verde è studiato anche lì). In realtà è poi materia di studio, ricerca e progettazione di molti altri settori. Anche gli urbanisti se ne occupano per esempio. Esistono competenze e specializzazioni professionali ben definite sul verde.

          Vorrei inoltre farti notare che se siamo qui a parlare di “verde”, è perchè un certo Giuseppe Barbera, docente di Colture Arboree dell’Università di Palermo, ci ha aiutato a conoscere meglio le cose, ci ha resi partecipi di una traccia delle sua competenza, ha aumentato il volume della nostra coscienza e ha stimolato la nostra riflessione, in qualcuno un po’ di più e in qualcuno un po’ di meno.

          Guarda che lo studio, la ricerca, le analisi, le indagini, la scienza, la storiografia etc…etc… non sono cose inutili. Sono fondamentali! E lo sono dappertutto.

          In secondo luogo, avendo tu chiamato in causa un presunto Dna dei palermitani, che sarebbero geneticamente predeterminati circa l’amore per “gli spaghetti, per le arancine e per il Forza Palermo” di contro ad un altrettanto geneticamente predeterminato disinteresse per il verde, mi sento in dovere di farti notare, avendo stavolta io competenze di stampo antropologico e sociologico, che sei caduto/a nell’errore di un discorso pressappochista, tipico delle conversazioni al bar ed emblematico dell’epoca del “web democratico che permette a tutti di dire la propria”.

          Che ti sia caduto/a in un errore, te lo dimostro in una maniera sorprendentemente semplice: la Conca d’oro, famosa dappertutto come paradiso in terra, da quali mani del mondo era curata fino a una manciata di decenni fa? Dagli abitanti di Oslo?! O magari non erano mani umane…erano zampe di alieni! Sono state proprio le mani dei palermitani, nei secoli, a riuscire a modellare la natura creando gli immensi e ormai favolosi giardini della Conca d’oro! Eppure tu mi parli di un Dna cittadino refrattario al verde… Ti rendi conto dei paradossi che emergono sulla base delle tue affermazioni? Forse a questo punto metterai in discussione il fatto che sia davvero esistita la Conca d’oro, non solo celebrata ampiamente da viaggiatori e letterati di tutta Europa ma di cui abbiamo anche qualche rara foto.

          Infine, oltre al “verde accademico” e ai basilari concetti antropologici che ho voluto portare alla tua attenzione ( e che non sono discorsi inutili e “in aria”; corrispondono invece ad analisi euristiche della realtà), metti in discussione anche la storiografia e la conseguente conoscenza e coscienza del passato, che certamente sarà ricostruito dalla ricerca storica, visto che non è stato vissuto in prima persona, ma non per questo non sarà fondato su assunti di verità. Ecco, agli storiografi, che dedicano un’intera vita ad un certo campo di ricerca, ti senti di contrapporre, come se davvero stessero sulla stessa bilancia, il tuo “sospetto” che sia tutta una baggianata.

          Non punto a far sì che tu possa mettere in discussione le tue proposizioni circa il presunto Dna dei palermitani e il fatto che da sempre le cose siano state sul livello del “maluccio”, e implicazionalmente sempre lo saranno visto che si parla di Dna. Però vorrei quantomeno instillarti, anche minimamente, un dubbio. Sono perplesso circa la possibilità di riuscirci veramente. Ad ogni modo ti propongo una traccia. Si tratta di una citazione di Sigmud Freud tratta dalle lettere che nel 1910, mentre stava visitando Palermo, inviava all’allievo Sàndor Ferenczi.

          Tra altre belle cose, scriveva: «città elegante, pulita, estremamente ricca di edifici e dotata di tutto quanto si possa pretendere, quasi come Firenze».

          1. Palerma La Malata

            Athon,
            leggendo il tuo commento ho l’impressione che io io e te viviamo in luoghi differenti e in tempi differenti.
            Tu sembri capace di godere di una meravigliosa e lussuregiante Conca D’Oro mentre io mi sento soffocare dal dover vivere in una Conca D’Oro tutt’altro che graziata e satura di palazzoni di 13 piani, di automobili, di asfalto e di munnizza.
            Tu noti meravigliosi palazzi che ricordano Firenze descritti da Freud a Ferenczi, morti rispettivamente 77 ed 83 anni fa, mentre io li vedo in secondo piano e dietro cartelloni di pubblicità invadente ed aggressiva.
            Come concludere? Meglio per te che riesci a vedere la bellezza di Palermo e suo il grandioso verde che era il soggetto di questo articolo!

          2. Athon

            Palerma La Malata, leggendo la tua risposta ho un’ulteriore conferma del fatto che la tua prospettiva si limita ad inquadrare l’ultima manciata di decenni, dagli anni ’60 ad oggi, e da qui poi generalizzi all’infinito. Persino il mio commento lo hai interpretato come se io stessi parlando dei giorni d’oggi. Non ti ho scritto che oggi godo della visione della Conca d’oro. Ti ho scritto che questa era ancora intatta fino agli anni ’60, e che era stata creata nei secoli dalla sinergia di natura e mani palermitane, proprio quei palermitani che tu ritieni avere un Dna che li renderebbe refrattari al verde. L’intento è stato quello di portare all’evidenza che l’assunto del Dna risulta inequivocabilmente fondato su un errore.

            Infine, se ti ho citato Freud è stato per scalfine il tuo “sospetto” che Palermo sia sempre stata “messa maluccio”, e per di più a causa di un polimero organico collettivo portatore di nefaste informazioni genetiche.

  6. zavardino

    Che porcheria immonda!

  7. Orazio

    Visto che il discorso è deragliato sul sociologico da tre soldi, aggiungo una provocazione da mezza lira ma forse non tanto tale, molto sommaria ma la dico.

    Palermitani o corleonesi? Mi sembrerebbe che quel po’ o tanto di raffinatezza che i palermitani storicamente hanno sia stata travolta, dagli anni ’60, dalla pacchianeria importata da chi scendeva da quei monti avvezzo al massimo ad una cultura pastorale (con relativi gusti).

    Il sacco ha lasciato palazzi orrendi, mentre quantomeno potevano essere belli e improbabili parchi in stile ristorante per matrimoni di paese, proprio come questo roseto. Ecco, quando vedo questo roseto penso al tipico parco di d un ristorante – pizzeria – sala ricevimenti – karaoke di un paesino sui monti delle nostre parti.

    Speculazione + bruttezza, un mix davvero interessante da studiare sotto il profilo delle sue cause più profonde che io riassumerei in “i peggiori al potere”. E questa per me la colpa dei palermitani, essersi adagiati sui peggiori dei peggiori e sui più ignoranti tra i peggiori.

    I tempi sono cambiati, certo, ma il danno è stato fatto e a furia di guardare bruttezze ci si abitua al brutto.

    P.S.: per i minus-dotati metto il sottotitolo. Mi riferisco ai corleonesi che hanno scritto “certe” pagine di storia locale e non del secolo scorso, non in generale alla comunità di quel (peraltro) poco simpatico paese.

  8. peppe2994

    Ok, ma adesso quando apre?

    1. Fabio Nicolosi

      E’ stato aperto questa mattina 🙂

  9. se68

    Barbera voleva, giustamente, modificare tale obbrobrio…Invece Orlando & company ,in pompa magna, inaugurano uno dei più osceni “parchi” mai visti….Le aiuole a forma di stella dicono già tutto. La cosa però ancora più incredibile è che sono riusciti a realizzare in una piccola striscia di terra ( intendo tutto il fondo terrasi) addirittura due parchi con stili diversi, entrambi inutilmente recintati, ma soprattutto divisi tra loro da una ulteriore, paradossale, recinzione. Ecco come trattiamo il verde: lo recintiamo, e poi lo conteniamo in aiuole in cemento..magari a forma di stella! Del resto, se affidi il progetto ad un geometra e ad un fantomatico artista, ecco il risultato. Ed ecco Palermo cos’è oggi: parchi in stile sala ricevimenti, ( come dice Orazio) isole pedonali asfaltate e arredate con panchine e fioriere stile Leroy Merlin..marciapiedi dissestati e pavimentati con finti mattoni in cemento ( ancora oggi, se vengono rifatti, si continua ad utilizzare questa finitura!) .edilizia fatiscente e/o oscena…etc, etc, etc..Ma forse Palermo si merita le aiuole stellate, sono in pendant con il resto della città..

  10. punteruolorosso

    il progetto era della giunta cammarata, evidentemente modificarlo costava troppo. è prerogativa di un’amministrazione modificare o fermare un progetto sbagliato, ma anche di trovare i giusti compromessi. le aiuole sono brutte, ma meglio di niente. condivido l’amarezza del prof.barbera. sia questo roseto che il giardino della zisa, altro cementaio, sono stati progettati dalla giunta cammarata. evidentemente l’aspetto cementizio e delle imprese di costruzione ha la prevalenza su quello botanico. in un giardino l’aspetto infrastrutturale non dovrebbe spuntarla sul verde. chi si è arricchito con quest’opera? i vivai o le imprese di costruzione?
    forse le piante, crescendo, riusciranno a compensare il brutto.

  11. se68

    punteruolorosso,
    cosa vuol dire meglio di niente? assolutamente meglio il niente…nel senso che, ad esempio, un prato con qualche albero, posto in continuità con la villa costa, in assenza della ridicola cancellata attuale, sarebbe stato mille volte meglio di questo trionfo del kitsch. Saremmo sempre in tempo, con pochi soldi ricoprire tutto di terra……

    1. punteruolorosso

      magari! più volte si è insistito sulla separazione da villa costa. lo stesso problema c’è al giardino della zisa: spazio separato dalla strada (cancellata e spianata di cemento) e dal verde del sacro cuore (muro).
      immagino che la soluzione proposta dal prof.barbera implicasse un aumento dei costi insostenibile per l’amministrazione. si sarebbe dovuto demolire con i martelli pneumatici l’intero parterre di cemento già fatto.

  12. belfagor

    A proposito del “ Roseto” del Fondo Terrasi, invito gli amoci a leggere questo articolo , di Grazia La Paglia, pubblicato su “ REPUBBLICA” del 17/09/2016

    Ad appena ventiquattro ore dalla sua inaugurazione, bambini e genitori hanno trovato chiusi i cancelli di ingresso del roseto di viale Campania. Perché? “Perché questa mattina non c’era un portiere. In tanti, oggi, hanno dovuto fare marcia indietro – spiega il presidente di Circoscrizione Marco Frasca Polara che ricorda anche che ieri, dopo la presentazione alla città dei cinquemila metro quadrati e delle cento varietà di rose, lo spazio ha chiuso i cancelli alle 13. “Sarà così anche nei pomeriggi della prossima settimana?” chiede una mamma giunta al roseto con il suo bambino nel passeggino, ma che è rimasta al cancello.
    “Stiamo risolvendo” dice l’assessore al Verde Sergio Marino che, contattato da La Repubblica, spiega c’è stato un “problema di comunicazione interna, di organizzazione, ma già abbiamo provveduto a mandare sul posto un dipendente per aprire l’ingresso”.
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    “Siamo delusi – dicono i genitori di una bambina che, questa mattina, verso le 10.30, avrebbe voluto visitare il roseto – Non c’è neppure un cartello che indichi gli orari. Non sapevamo, quindi, il motivo della chiusura. Sarebbe stato corretto poter leggere almeno un avviso”. Così per la piccola non è stato possibile poter ammirare i fiori e giocare con le giostre installate all’interno dell’area.
    “Ma dalla prossima settimana – aggiunge l’assessore – il roseto sarà inserito nel circuito delle ville della città
    e garantiremo l’apertura anche pomeridiana, fino alle 21”.
    E dai residenti e dai curiosi che ieri sono riusciti a visitare lo spazio arrivano già alcune segnalazioni su cosa si potrebbe ancora fare per migliorare la struttura.“Occorre attrezzare l’area non solo con un cartello degli orari, indispensabile – conclude Polara – e in molti hanno segnalato la mancanza di una zona d’ombra e di un manifesto con le regole basilari del parco”
    Credo che l’articolo non ha bisogno di commenti.

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